DIGITAL SERVICE ACT - UNA RASSEGNA STAMPA DOPO LA SUA ENTRATA IN VIGORE
Una rassegna stampa degli articoli usciti in occasione dell'entrata in vigore del Digital Service Act sui media mainstream e nel mondo dell'informazione indipendente.
Il 25 agosto 2023 è infine entrato in vigore in Europa il Digital Service Act.
Si tratta di una norma su cui l’Unione Europea ha lavorato fin dal 2020.
Il testo definitivo è stato approvato il 5 luglio 2022.
Si tratta di una norma di cui penso tutto il male possibile e di cui mi sono occupato traducendo, scrivendo o condividendo vari articoli, tra Miglioverde, Libplus, i miei profili social e questo stesso Substack.
In questa occasione presento una rassegna stampa degli articoli usciti in questi giorni in occasione della sua entrata in vigore in Italia sulla stampa mainstream e sull’informazione indipendente (compresi quelli tradotti o condivisi in precedenza).
LE REAZIONI ALL’ENTRARA IN VIGORE DEL DSA SULLA STAMPA ITALIANA
L’AGI: non vi sarà censura, il focus sarà la lotta alla disinformazione e alla propaganda filo-russa, unito a una maggiore trasparenza nelle decisioni delle piattaforme a tutela degli utenti.
L’Ansa: per la sociologa Silvia Semenzin si tratta di un primo passo per rendere gli ambienti digitali più sicuri e più sani, però manca qualcosa di più preciso contro la violenza di genere; i consumatori europei danno il benvenuto al DSA rifacendosi secondo una nota dell’organizzazione dei consumatori europei; gli eurodeputati della Lega hanno definito la legge una “legge bavaglio” che rende l’Europa meno libera.
Il Riformista: per Sandro Gozi il DSA è una regolamentazione senza precedenti nel mondo, la fine del far west, e la terza via tra la libertà degli USA e il controllo statale totale della Cina.
Giornalettismo: il DSA è solo il primo passo, presto seguiranno il Digital Market Act e l’Artificial Intelligence Act, mentre il numero di aziende coinvolte dal regolamento aumenterà mano a mano fino a un’applicazione su larga scala.
Il Corriere: le diverse piattaforme stanno cercando di adeguarsi ma hanno anche sollevato vari problemi e in alcuni casi presentato dei ricorsi: da Amazon a Zalando, dagli App Store a Booking, da Tik Tok a Snapchat.
Repubblica: la vera novità è l’analisi del rischio sistemico con la possibilità di attivare protocolli di crisi in caso di minacce incombenti sulla salute o la sicurezza.
Rainews: riporta la grande soddisfazione di Ursula von der Leyen e Thierry Breton e fa una serie di esempi dei cambiamenti che le nuove regole comporteranno, come maggiore trasparenza, più protezioni per i minori, e maggiore attenzione a fermare gli articoli poco affidabili.
Sky News: vengono introdotte nuove norme sulla pubblicità, sulla protezione dei minori, e multe salatissime per chi infrange le norme.
Euro News: il DSA ha l'obiettivo di rendere la navigazione più sicura per gli utenti, combattendo la diffusione di contenuti illegali, discorsi di odio e disinformazione attraverso dei controlli più mirati.
Milano FInanza: Breton nei mesi scorsi si è recato nella Sylicon Valley per assistere le Big Tech nell’adeguamento alle nuove norme.
Il Giornale: Francesco Giubilei vede nel DSA e nella possibile attivazione di protocolli di crisi un rischio di censura e cita la definizione del DSA come “legge bavaglio” da parte degli eurodeputati leghisti.
AGI
L’AGI riporta le rassicurazioni di Thierry Breton sul fatto che non si tratta di censura e che il focus sarà la lotta alla disinformazione e alla propaganda filo-russa, unito a una maggiore trasparenza nelle decisioni delle piattaforme, a tutela degli utenti.
Amazon e Zalando hanno intanto presentato ricorso alla Corte europea contro il loro inserimento nella lista. In attesa della pronuncia dei giudici dovranno comunque rispettare le nuove regole.
Per l'Unione europea il Dsa (dall’acronimo inglese di Digital service act) non è un’opera di censura. "In Europa non ci sarà il Ministero della Verità. Ciò che ci sarà è trasparenza: nei processi algoritmici, nei bot e negli annunci personalizzati”, ha annunciato il commissario europeo al Mercato interno e all'Industria, Thierry Breton.
Nel dettaglio, la legge sui servizi digitali obbliga le piattaforme a rimuovere rapidamente i contenuti illegali presenti sulle loro pagine web, purché ne siano a conoscenza. Inoltre, andrà sempre messo in evidenza quando si tratta di contenuti - foto o video - creati dall’intelligenza artificiale.Oltre alla protezione dei minori - con il divieto ad esempio di pubblicità personalizzata per loro - sarà prioritaria anche la lotta alla disinformazione e alla propaganda filo-russa, in particolare in vista delle elezioni europee che si terranno a giugno dell'anno prossimo.
Nel caso di un intervento di moderazione sui contenuti, l'autore riceverà informazioni dettagliate al riguardo e su come eventualmente presentare ricorso. La piattaforma deve mettere in atto un sistema di ricorso e l'authority nazionale di regolamentazione (in Italia sarà l'Agcom), se necessario, deciderà in ultima istanza: se il ricorso viene accolto, la piattaforma dovrà ripristinare il contenuto e pagare i costi.
Le aziende dovranno inoltre spiegare agli utenti perché consigliano contenuti in base al loro profilo (devono offrire la possibilità che i post della bacheca non siano basati sui loro dati personali e di impostare ad esempio la visualizzazione sulla base del mero ordine cronologico) e saranno obbligate a specificare chiaramente quando si tratta di informazione pubblicitaria, nonché chi ne è il promotore.
Le aziende inoltre dovranno redigere rapporti annuali per verificare il rispetto dei requisiti e sia le autorità che i ricercatori esterni potranno avere accesso alla progettazione degli algoritmi che determinano la visualizzazione dei contenuti.
In caso di violazioni sono previste multe fino al 6% del fatturato globale con la possibilità di messa al bando in caso di recidiva.
L'ANSA
L’ANSA ha pubblicato diversi articoli sul DSA: per la sociologa Silvia Semenzin si tratta di un primo passo per rendere gli ambienti digitali più sicuri e più sani, però manca qualcosa di più preciso contro la violenza di genere; nella sezione tecnologia l’ANSA scrive che i consumatori europei danno il benvenuto al DSA, rifacendosi a una nota del Beuc, l’organizzazione dei consumatori europei; infine dà conto del fatto che gli eurodeputati della Lega hanno definito la legge una “legge bavaglio” che rende l’Europa meno libera.
Uno dei passi che resta ancora da fare proprio rispetto al peso che hanno le piattaforme digitali nel creare purtroppo ambienti che molto spesso sono tossici è cercare di inserire anche delle definizioni che abbiano a che vedere con la violenza di genere online. Quello che è successo in questi giorni a Palermo in questo senso dovrebbe farci molto riflettere perché è chiarissimo purtroppo non ci possiamo più nascondere quanto la cultura dello stupro che noi continuiamo a non voler combattere attraverso l’educazione e la prevenzione porti poi a esercitare la violenza sessuale anche nella vita reale, diciamo, ma vediamo anche quanto questa violenza poi è connessa con il digitale perché le chat che sono emersi, i video che sono emersi, i messaggi che sono emersi raccontano proprio di quanto molto spesso la violenza si banalizzi e diventi un modo di fare amicizia tra uomini…
Dal 26 agosto i grandi motori di ricerca e le piattaforme online indicate dalla Commissione europea dovranno iniziare a rispettare una delle principali norme - il Digital service act (Dsa) - destinata a fare del web un ambiente più sicuro e responsabile.
Così in una nota il Beuc, l'organizzazione dei consumatori europei, dà il benvenuto all'entrata in vigore del Dsa.
Per la direttrice del Beuc, Monique Goyens, il Dsa è diventato indispensabile "dopo che è stato accertato che le piattaforme hanno chiuso un occhio davanti ad attività illegali svolte sotto il loro naso". Oppure non hanno offerto sufficienti tutele agli utenti. Google, Amazon e Meta ora saranno sottoposte a un maggiore controllo. Goyens osserva quindi che "Amazon e Zalando stanno disperatamente combattendo" contro il loro inserimento nel gruppo delle grandi piattaforme a cui si applicheranno le norme del Dsa. "Ma se non sono loro grandi piattaforme, allora chi?", si chiede.
"Da domani in questa Europa che da anni non cresce e già destinata alla deindustrializzazione e all'irrilevanza sugli scenari globali, saremo anche tutti un po’ meno liberi. L'entrata in vigore del Digital Service Act, provvedimento che rafforzerà la censura su Internet, deciso passo in avanti verso la 'cinesizzazione' del concetto di libertà di espressione in Europa, ci allarma e ci preoccupa.
Così in una nota gli europarlamentari capo delegazione della Lega Marco Campomenosi e Alessandra Basso, relatrice ombra del provvedimento.
Il Riformista
Per Sandro Gozi il DSA è una regolamentazione senza precedenti nel mondo, la fine del far west, e la terza via tra la libertà degli USA e il controllo statale totale della Cina.
L’intervista è introdotta così:
Il 25 agosto è finalmente entrato in vigore il DSA, Digital Services Act, che ha lo scopo di migliorare la moderazione dei contenuti sulle piattaforme dei social media per affrontare le preoccupazioni sui contenuti illegali. Sandro Gozi, europarlamentare italo-francese e segretario generale dell’EDP, ne è stato relatore in commissione.
Dopodiché ecco le risposte di Gozi:
La legge sui servizi digitali (Digital Services Act/DSA) è molto più di una semplice regolamentazione del web: è uno dei testi più importanti di questa legislatura europea. È la nostra risposta strategica al mondo digitale in rapida evoluzione, uno sforzo coordinato per stabilire norme e regole chiare nel nuovo spazio virtuale che sta plasmando sempre di più la nostra vita quotidiana. Sono principi fondamentali e obiettivi d’interesse generale che devono durare nel tempo rispetto a una tecnologia in rapida e costante evoluzione. È soprattutto la fine del far west digitale e garantirà più protezioni per tutti i cittadini europei in rete. Con la sua adozione, vogliamo stabilire un giusto equilibrio tra la tutela dei diritti fondamentali, la promozione della libertà di espressione e la necessità di controllare gli abusi online.
Sono convinto che questa legge farà dell’Europa un esempio per il resto del mondo. Abbiamo stabilito un principio: in Europa, ciò che è vietato offline deve essere vietato anche online. Infatti, di fronte al modello cinese, dove lo Stato controlla tutto, e al modello americano, in cui praticamente le piattaforme fanno quello che vogliono, l’Unione europea garantirà una concorrenza leale alle imprese europee e una migliore protezione dei diritti dei cittadini, con un’attenzione speciale per i dati sensibili, come la religione o l’orientamento sessuale, e una protezione rafforzata per i minori, spesso le prime vittime di questo far west. Con il DSA costringiamo le piattaforme a guardare in faccia la realtà e a prendere in considerazione i rischi legati ai contenuti che ospitano online e dunque le giustemisure con una moderazione più efficace e verificabile. Introduciamo poi un nuovo sistema di sanzioni. La nostra è una regolamentazione senza precedenti a livello globale, per proteggere i diritti fondamentali di 450 milioni di europei, che sono stati troppo spesso calpestati negli ultimi anni.
Giornalettismo
Giornalettismo ricorda che il DSA è solo il primo passo perché presto seguiranno il Digital Market Act e l’Artificial Intelligence Act, mentre il numero di aziende coinvolte dal regolamento aumenterà mano a mano fino a un’applicazione su larga scala.
Il DSA è il punto di partenza del tentativo di regolamentazione europea delle cosiddette aziende Big Tech (nel senso più esteso del termine). Nel giro dei prossimi mesi, infatti, il Digital Service Act sarà affiancato da altri due provvedimenti che hanno come obiettivo quello di imporre dei paletti molto più stringenti al mercato digitale. In attesa di conoscere i reali e tangibili effetti del Digital Market Act (DMA) e dell’Artificial Intelligence Act (AI Act).
Trattandosi di un Regolamento europeo, non c’è stato alcun bisogno di attendere che ogni singolo Stato membro recepisse con una legge propria questa legge. Dunque, tutte le aziende digitali che operano sul territorio UE dovranno rispettare quei paletti, in ogni singolo Paese. Dunque, dallo scorso 25 agosto quanto scritto nero su bianco e approvato da Commissione e Parlamento europeo ha iniziato a mostrare i primi effetti, con le 19 aziende coinvolte (ogni sei mesi l’elenco sarà aggiornato inserendo o rimuovendo quelle piattaforme che supereranno il “limite” dei 45 milioni di utenti attivi ogni mese in Europa) che nel corso dei mesi precedenti hanno modificato i propri piani di azione per evitare violazione degli obblighi imposti.
Thierry Breton, Commissario UE al Mercato Interno, ha spiegato come questa fase dovrà essere considerata un vero e proprio stress test in vista dell’inizio del 2024 quando il DSA sarà pienamente applicabile su larga scala.
Il Corriere
Il Corriere si concentra sulle risposte date dalle diverse piattaforme, sui vari problemi che hanno sollevato e i ricorsi che hanno presentato, da Amazon a Zalando, dagli App Store a Booking, da Tik Tok a Snapchat.
Il Digital Services Act vuole frenare la diffusione di contenuti d'odio o dannosi, ma anche proteggere la privacy e la liberta di espressione. Vuole anche creare un'ambiente di innovazione che sia spinto da regole di competitività giuste e che non permettano abusi di posizione dominante.
Amazon e Zalando hanno entrambi contestato la propria presenza nella lista della grandi piattaforme online stilata dalla Commissione europea. Nessuno dei due colossi si sente di corrispondere alla descrizione delle cosiddette «Vlop» perché, nonostante la propria presenza massiccia in Europa - hanno entrambi più di 45 milioni di utenti nel continente - non ritengono di essere i più grandi rivenditori in nessuno degli stati membri. In ogni caso, un portavoce commenta: «Amazon condivide l'obiettivo della Commissione Europea di creare un ambiente online sicuro, prevedibile e affidabile, e investiamo significativamente sia nella protezione del nostro Store da malfattori e contenuti illegali, sia nella creazione di un'esperienza di acquisto affidabile. Abbiamo costruito su queste solide basi in vista della conformità alla Digital Services Act». Infine fanno sapere di aver «creato un nuovo canale per l'invio di segnalazioni di prodotti e contenuti sospettati di essere illegali».
Zalando, dopo aver presentato ricorso, ha comunque lanciato sistemi di segnalazione dei contenuti sul suo sito, anche se sostiene che sia minimo il rischio di trovare frodi all'interno del suo catalogo. Secondo Aurelie Caulier, responsabile per gli affari pubblici di Zalando, il Digital Services Act «Porterà molti cambiamenti positivi. Ma in generale, Zalando non ha il rischio sistemico che altre piattaforme comportano. Ecco perché non pensiamo di rientrare in questa categoria».
Anche gli Store che offrono applicazioni per i propri dispositivi sono sotto la lente della Commissione europea. In particolare sull'App Store di Apple il problema è il sistema di promozione delle app che appare nella sezione «Oggi». Non si sa come queste app finiscano qui, se per scelta editoriale, per raccomandazione in base agli interessi degli utenti o previo pagamento. Servirà più trasparenza in questo senso e se uno sviluppatore paga per atterrare qui dovrà essere segnalato. La stessa trasparenza dovrà essere garantita anche sul Google Play Store.
Booking dichiara di sostenere a pieno gli obiettivi del Digital Services Act, «Tuttavia, riteniamo che la proposta avrebbe potuto essere più ambiziosa nell'affrontare il problema degli affitti illegali per brevi periodi», spiegano. Si concentrano su altre due problematiche: la prima è il concetto di «pubblicità». Nel loro caso, qualsiasi annuncio di hotel o affitto casa potrebbe essere considerato una pubblicità e dunque la situazione è complessa da analizzare. La seconda è, come nel caso di Amazon e Zalando, il concetto di Very Large Online Platform, che non tiene in considerazione i diversi modelli di business.
Anche SnapChat e TikTok procederanno a modificare i propri algoritmi. In particolare TikTok si è concentrato sul suo sistema di raccomandazioni «Per te»: la disattivazione dell'algoritmo personalizzato sui propri interessi permetterà, secondo il social cinese, di vedere «video popolari provenienti dai luoghi in cui vivono e da tutto il mondo». Dunque di ogni genere e non basati su ciò che l'algoritmo ha imparato su di noi. Non solo: TikTok ha inserito una nuova opzione per segnalare video con contenuti d'odio o frodi. Ci sarà un nuovo team formato da esperti che si occuperà di vagliare tutte le segnalazioni e un nuovo hub europeo per la sicurezza online interamente dedicato alla assimilazione del Digital Services Act.
La Repubblica
Per Repubblica si tratta di una rivoluzione positiva, la cui vera novità è l’analisi del rischio sistemico con la possibilità di attivare protocolli di crisi in caso di minacce incombenti sulla salute o la sicurezza.
Da venerdì 25 agosto inizia l’applicazione delle nuove regole sulla responsabilità delle piattaforme per i contenuti online, il Digital Services Act (DSA). Si tratta di una vera e propria rivoluzione visto che la norma precedente del 2000 era nata da considerazioni fatte a metà degli anni ’90 e da tempo mal si applicavano al web delle piattaforme.
Il nuovo regolamento UE, che a differenza della precedente direttiva, si applicherà allo stesso modo in tutta l’Unione europea, permettendo agli utenti di avere gli stessi diritti ovunque e alle aziende di non doversi confrontare con 27 leggi diverse tra loro, si applica a tutti gli intermediari online, siano essi social network, motori di ricerca, marketplace, servizi di hosting.
La vera grande novità resta quella dell’analisi del rischio sistemico. Poiché l’approccio tentato dai singoli Stati europei, nel 2019, di sanzionare le piattaforme per ogni post illegale che non fosse rimosso nel giro di poche ore aveva come effetto secondario quello di incentivare la censura, il DSA prevede che ogni anno le grandi piattaforme debbano redigere un report che valuti i rischi per i diritti fondamentali, la libertà d’espressione, il dibattito pubblico, i minori, derivanti da un abuso o uso illegittimo dei loro servizi.
Una volta individuati questi rischi, dovranno presentare delle soluzioni per mitigarne l’impatto, soluzioni che toccheranno la moderazione dei post, l’uso degli algoritmi per raccomandare certi contenuti piuttosto che altri, la modifica dei termini e condizioni, la modifica del design, del loro sistema di raccolta pubblicitaria, etc. Per verificare che queste aziende abbiano fatto il possibile, potranno essere sottoposte ad audit esterni, non solo delle Autorità, ma anche di ricercatori.
Nel caso di minacce incombenti sulla salute o la sicurezza delle persone, in cui queste piattaforme possono avere un ruolo nella loro diffusione, ad esempio attraverso massicce campagne di disinformazione, di concerto con la Commissione, si dovranno attivare dei protocolli di crisi, ovvero misure d’emergenza volte a sminuirne l’effetto nocivo.
Rainews
Rainews riporta le parole soddisfatte di Ursula von der Leyen e Thierry Breton, e una serie di esempi dei cambiamenti che le nuove regole comporteranno, come maggiore trasparenza, più protezioni per i minori, e maggiore attenzione a fermare gli articoli poco affidabili (?)
Entra oggi in vigore il Digital Service Act, la stretta Ue per fermare gli abusi sui contenuti online e tutelare gli utenti del web. “A partire da oggi, le grandi piattaforme online devono applicare la nuova legge”, ha scritto su X-Twitter la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
“Stiamo portando i nostri valori europei nel mondo digitale. Con regole severe in materia di trasparenza e responsabilità, la nostra legge sui servizi digitali mira a proteggere i nostri bambini, le nostre società e le nostre democrazie”, si legge nel post.
“Oggi la legge sui servizi digitali diventa legalmente applicabile per le piattaforme online di grandi dimensioni e i motori di ricerca - scrive su X-Twitter il Commissario europeo ai servizi Thierry Breton, volto dell'esecutivo comunitario per il Digital service act. ”Queste piattaforme sistemiche svolgono un ruolo molto importante nella nostra vita quotidiana, quindi era tempo che l'Ue stabilisse le proprie regole. Un Internet più sicuro per tutti nell'Ue".
Al post risponde il numero uno di X Elon Musk: "Stiamo lavorando intensamente su questo".
Ecco alcuni esempi di procedure che cambiano in base alle nuove regole una volta effettuato l'accesso, per esempio a una piattaforma social o di acquisti.
I sistemi di consigli automatizzati che decidono, in base ai profili delle persone, cosa vedranno nei loro feed possono essere disattivati. I sistemi di raccomandazione algoritmica basati sui profili utente sono stati accusati di creare le cosiddette filter bubble e di spingere gli utenti dei social media a post sempre più estremi. La Commissione Europea vuole che gli utenti abbiano almeno un'altra opzione per i consigli sui contenuti che non sia basata sulla profilazione.
Sarà più semplice per gli utenti segnalare un post, un video o un commento che infrange la legge o viola le regole di una piattaforma in modo che possa essere esaminato e rimosso se necessario.
L’UE vuole che le piattaforme siano più trasparenti su come operano.
Ad esempio, TikTok afferma che gli utenti europei riceveranno maggiori informazioni “su una gamma più ampia di decisioni sulla moderazione dei contenuti”. "Ad esempio, se decidiamo che un video non è idoneo alla raccomandazione perché contiene affermazioni non verificate su un'elezione ancora in corso, informeremo gli utenti", ha fatto sapere.
Il DSA non si occupa solo di controllare i contenuti. L'obiettivo è anche fermare il flusso di articoli contraffatti o poco affidabili. A questo proposito Amazon afferma di aver creato un nuovo canale per segnalare sospetti atti illegali.
Sky News
Sky si concentra sulle norme sulla pubblicità, sulla protezione dei minori, e sulle multe salatissime che chi infrange le norme dovrà pagare.
Scatta oggi, venerdì 25 agosto, la stretta dell’Unione europea contro i contenuti illegali online. Entra in vigore, infatti, il Digital Services Act: si tratta di una serie di nuove regole su trasparenza, tutela di utenti e minori, lotta alla disinformazione che riguardano soprattutto i 19 maggiori social network, piattaforme di acquisto e motori di ricerca, già individuati dalla riforma.
Il Digital Services Act obbliga grandi piattaforme come Google, Facebook, X (l'ex Twitter) e TikTok a prendere provvedimenti per non rischiare multe milionarie, in base al principio che ciò che è illegale offline deve esserlo anche online.
Le piattaforme devono impegnarsi di più per contrastare i contenuti illegali, i bot e le fake news. Giganti come Google, Microsoft, Apple, YouTube, Amazon, Facebook, TikTok, Instagram o X dovranno, ad esempio, fornire strumenti agli utenti per segnalare in modo facile i contenuti illegali, dando la precedenza alle segnalazioni provenienti dai soggetti più autorevoli.
Il Digital Services Act (Dsa) vieta anche qualsiasi tipo di pubblicità mirata nei confronti dei minori. I sistemi, poi, sono tutti da riprogettare per “garantire un elevato livello di privacy, sicurezza e incolumità dei minori", introducendo strumenti come la verifica dell'età e il controllo parentale.
Chi sgarra rischia di incappare in multe fino al 6% del fatturato mondiale per le violazioni e, in caso di recidiva, nel divieto di operare sul suolo europeo. Da ora le compagnie saranno sottoposte a controlli indipendenti regolari, oltre alla rigorosa supervisione Ue.
Euro News
Per Euro News il DSA ha l'obiettivo di rendere la navigazione più sicura per gli utenti, combattendo la diffusione di contenuti illegali, discorsi di odio e disinformazione attraverso dei controlli più mirati.
La normativa europea per la regolamentazione dei contenuti online impone alle Big Tech di prevenire la diffusione di discorsi che incitano all'odio e di rendere più accessibili, per l'utente, i criteri per la moderazione dei contenuti.
L'obiettivo è rendere la navigazione più sicura per gli utenti, combattendo la diffusione di contenuti illegali, discorsi di odio e disinformazione attraverso dei controlli più mirati, sorvegliando più da vicino i sistemi che si basano sugli algoritmi per la diffusione e personalizzazione dei contenuti. Anche agli utenti viene garantita una maggiore trasparenza rispetto ai criteri scelti dalle compagnie per la moderazione online, con le aziende che dovranno dotarsi di un sistema per spiegare perché un certo contenuto è stato rimosso.
Il Dsa è stato concepito per bloccare la diffusione di contenuti dannosi, illegali o che violano i termini di servizio di una piattaforma, come, ad esempio, la promozione del genocidio, della violenza o dell'anoressia. Promuove una maggiore trasparenza per le pubblicità e i contenuti raccomandati, e proibisce anche la diffusione di alcune pubblicità mirate a categorie di utenti vulnerabili, come i minori. Anche le pubblicità basate sui dati sensibili come la religione o l'orientamento sessuale saranno vietate. Inoltre, mira a proteggere i diritti fondamentali degli europei, come la privacy e la libertà di parola, chiedendo alle aziende una maggiore trasparenza sulle modalità di raccolta e conservazione dei dati degli utenti.
Milano Finanza
Milano Finanza ricorda il viaggio di Breton nella Sylicon Valley per assistere le Big Tech nell’adeguamento alle nuove norme, e i suoi anatemi contro chi non dovesse adeguarsi.
«Chi non si adegua alla legge europea esce dal mercato». Così il commissario Ue alla per il Mercato Interno, Thierry Breton, ha annunciato l’entrata in vigore del Digital Service Act. Dal 25 agosto arriva ufficialmente il nuovo regolamento emanato dall’Ue per arginare l’espansione incontrollata delle piattaforme digitali, prevedendo anche misure a tutela della privacy e per la protezione dei minori.
Lo scorso giugno peraltro lo stesso Breton è andato in Silicon Valley per uno stress test delle piattaforme, atto a verificare quanto fossero conformi al nuovo regolamento.
Il Giornale
Sul Giornale Francesco Giubilei vede nel DSA e nella possibile attivazione di protocolli di crisi un rischio di censura e di limitazione della libertà di espressione, e cita la definizione del DSA come “legge bavaglio” da parte di due eurodeputati leghisti.
Dietro la lotta alle fake news e alla disinformazione spesso si nasconde il rischio di censure che colpiscono la libertà di espressione. L'ultimo caso è il Digital Service Act, il nuovo regolamento sulla responsabilità delle piattaforme per i contenuti online approvato dall'Ue.
Tra le novità più rilevanti c'è il cosiddetto rischio sistemico secondo cui le piattaforme dovranno ogni anno inviare alla Commissione Ue un report in cui segnalare eventuali rischi per i diritti fondamentali presentando soluzioni per mitigarne l'impatto come la moderazione dei post o l'utilizzo di algoritmi per raccomandare certi contenuti invece di altri. Ma non è finita qui: nel caso di contenuti ritenuti una minaccia alla salute o alla sicurezza delle persone, le piattaforme, insieme alla Commissione Ue, potranno avviare protocolli di crisi e misure di emergenza, si tratta dell'articolo 91 con cui la Commissione può chiedere in situazioni particolari la promozione di informazioni affidabili. Se lo scopo dichiarato del nuovo regolamento è creare un ambiente digitale sicuro e affidabile, è evidente che il DSA presenta notevoli criticità.
Non a caso gli europarlamentari della Lega Marco Campomenosi e Alessandra Basso non usano giri di parole per definire il regolamento come una legge bavaglio Ue: qualcuno sarà autorizzato a far cancellare il contenuto dei pensieri dei cittadini, magari con il pretesto della lotta alle fake news', magari con l'obiettivo di giungere alla campagna elettorale per le europee con l'anestetizzazione dei pensieri alternativi che saranno messi ai margini.
GLI ARTICOLI SUL DSA USCITI SULL’INFORMAZIONE INDIPENDENTE
Il Miglioverde - Reason: Il Digital Service Act: la direttiva Nazicom dell'UE che minaccia la libertà di parola degli americani.
Il Miglioverde - Naked Capitalism: 25 Agosto 2023: in inizia il regime di censura di massa dell'UE. Diventerà globale?
Il Miglioverde - Brownston Institute: INCHIESTA / Ecco come l'UE ricatta Elon Musk e come funziona ancora la censura di Twitter
LibPlus: la Commissione Europea si è dotatat di nuovi poteri d’emergenza per richiedere alle piattaforme di prevenire, eliminare o limitare qualsiasi uso dei loro servizi che potrebbe contribuire a una minaccia alla sicurezza o alla salute.
L’Indipendente: il DSA dà un grande potere di controllo, orientamento e censura della discussione pubblica online alla politica e alle istituzioni europee.
Privacy Chronicles: la trasformazione in legge di quello che abbiamo subito negli ultimi due anni: filtri e sistemi automatizzati per la censura di determinati contenuti, shadowban, pagine, canali e podcast chiusi e proliferazione di sedicenti fact-checker.
Il Petualante: l’UE con il DSA ha costruito un sistema di censura e controllo politico della discussione pubblica, contro la libera discussione e contro l’informazione alternativa.
Byo Blu: Matteo Gracis, Gandolfo Dominici, Renate Holzeisen e Paolo Becchi, dibattono mettendo in luce aspetti positivi e negativi del Digital Service Act, con critiche rivolte allo stesso tempo all’Unione Europea e al libero mercato.
Il Miglioverde - traduzione di un articolo di J.D. Tucille uscito su Reason in occasione della visita di Breton nella Sylicon Valley.
Thierry Breton, uno dei burocrati più odiosi dell'Unione Europea, sta visitando le aziende dei social media negli Stati Uniti per verificare la loro disponibilità a conformarsi a una nuova legge dell'Unione Europea che regolamenta i contenuti online. Questa legge impegna le aziende private ad applicare le regole dell'Unione Europea sui "contenuti illegali", definiti in modo alquanto ampio, e su ciò che i funzionari considerano "disinformazione".
Anche se probabilmente non lo faranno, i dirigenti delle aziende tecnologiche dovrebbero dire a Breton di sparire e poi lavorare per isolarsi dai maniaci del controllo europei.
A gennaio, durante un’intervista personale al World Economic Forum, la vicepresidente della Commissione europea Věra Jourová ha criticato l'"assolutismo della libertà di parola" di Musk nel resistere al Digital Services Act e ha affermato con sicurezza di prevedere che anche gli Stati Uniti adotteranno presto leggi contro "l'hate speech illegale".
Il Digital Service Act "dà troppo potere alle agenzie governative per segnalare e rimuovere contenuti potenzialmente illegali e per scoprire dati su autori anonimi", ha avvertito la Electronic Frontier Foundation (EFF) la scorsa estate, mentre la legislazione prendeva forma definitiva. "Il DSA obbliga le piattaforme a valutare e mitigare i rischi sistemici, ma c'è molta ambiguità su come questo si tradurrà in pratica. Molto dipenderà da come le piattaforme dei social media interpreteranno i loro obblighi ai sensi del DSA e da come le autorità dell'Unione Europea applicheranno il regolamento".
Giornalisti come Michael Shellenberger e Matt Taibbi hanno messo in evidenza la collaborazione tra agenzie governative e aziende tecnologiche per sopprimere voci e messaggi sfavorevoli alla narrazione ufficiale, che sarebbe la prova dell’esistenza di quello che hanno chiamato un "complesso industriale di censura" una forma di controllo politico privatizzato di ciò che si può dire che aggira le protezioni del Primo Emendamento. Questi accordi molto reali si sono svolti in gran parte dietro le quinte, ritirandosi (ma non scomparendo) quando sono stati scoperti. Il Digital Services Act dell'Unione Europea formalizza questo controllo del discorso pubblico, mettendo entità nominalmente private nella posizione poco invidiabile di controllare i contenuti online per evitare multe salate.
Il Migioverde - traduzione di un articolo di Nick Corbishley uscito su Naked Capitalism
La censura governativa della libera espressione online nelle democrazie occidentali apparentemente liberali è stata finora in gran parte occulta, come rivelato dai Twitter Files. Ma grazie al Digital Services Act dell'UE, sta per diventare palese.
Il mese prossimo si verificherà un evento poco conosciuto che potrebbe avere enormi ripercussioni sulla natura del "discorso pubblico" su Internet in tutto il pianeta. Il 25 agosto 2023 è la data entro la quale le grandi piattaforme di social media dovranno iniziare a conformarsi completamente al Digital Services Act (DSA) dell'Unione Europea. Il DSA, tra le tante cose, obbliga tutte le "Very Large Online Platforms" (VLOP - Piattaforme online di grandi dimensioni) a rimuovere rapidamente dalle loro piattaforme i contenuti illegali, i discorsi di odio e la cosiddetta disinformazione. In caso contrario, rischiano multe fino al 6% del loro fatturato globale annuo.
Le piattaforme più piccole dovranno iniziare ad affrontare i contenuti illegali, i discorsi d'odio e la disinformazione a partire dal 2024, sempre che la legislazione sia efficace.
Quindi, a chi spetta nell'UE definire cosa costituisce effettivamente disinformazione o misinformazione?
Sicuramente sarà compito di un regolatore indipendente o di un'autorità giudiziaria con parametri procedurali chiari e senza o con pochi conflitti di interesse. Almeno questo è ciò che uno spererebbe. Ma... no. A decidere cosa si intende per mal-informazione o dis-informazione, possibilmente non solo nell'UE ma anche in più giurisdizioni del mondo (e su questo punto torneremo più avanti), sarà la Commissione europea. Esatto, il ramo esecutivo dell'UE guidato dalla Von der Leyen, assetato di potere e pieno di conflitti d'interesse. La stessa istituzione che sta distruggendo il futuro economico dell'UE con le sue infinite sanzioni contro la Russia e che è impantanata nel Pfizergate, uno dei più grandi scandali di corruzione dei suoi 64 anni di esistenza. Ora la Commissione vuole portare la censura di massa a livelli mai visti in Europa almeno dagli ultimi giorni della Guerra Fredda.
In questo compito la Commissione avrà, secondo le sue stesse parole, "poteri di applicazione simili a quelli di cui dispone nell'ambito dei procedimenti antitrust", aggiungendo che "sarà istituito un meccanismo di cooperazione a livello europeo tra le autorità di regolamentazione nazionali e la Commissione".
I governi vogliono un accesso assoluto, pieno e completo a tutti i dati forniti da queste piattaforme. E poi vogliono un paio di altre cose molto importanti. Vogliono avere l'autorità di intervenire e moderare o almeno di far parte del processo di moderazione. Vogliono inoltre che anche le persone chiamate "segnalatori" di fiducia - così sono descritte nella legge europea - abbiano accesso a queste piattaforme. Si tratta di agenzie esterne quasi governative che dicano a queste piattaforme cosa possono o non possono pubblicare su argomenti come la sicurezza dei vaccini.
In altre parole, l'ambiente legale per la libertà di parola è destinato a diventare ancora più ostile in Europa. E forse non solo in Europa. Come ha scritto Norman Lewis per il sito britannico di notizie online Spiked, il DSA non solo imporrà la regolamentazione dei contenuti su Internet, ma potrebbe anche diventare uno standard globale, non solo europeo
Tutto questo è tanto esasperante quanto ironico. Dopo tutto, una delle principali giustificazioni per l’atteggiamento sempre più aggressivo dell'Occidente in altre parti del mondo - la cosiddetta Giungla, come la chiama il capo diplomatico dell'UE Josep Borrell - è quella di arginare la deriva verso l'autoritarismo guidata da Cina, Russia, Iran e altri rivali strategici che stanno invadendo il territorio economico dell'Occidente. Eppure, in patria, l'Occidente collettivo sta semmai andando più velocemente di loro in quella direzione, grazie all'abbraccio incondizionato della censura, della sorveglianza e del controllo digitali.
Il Miglioverde - traduzione di un articolo di Robert Kogon uscito sul Brownstone Institute a proposito del rapporto tra Musk e l’Unione Europea.
I "Twitter Files" hanno rivelato numerosi contatti tra funzionari governativi statunitensi e Twitter e varie richieste di soppressione di account o contenuti, in particolare nel contesto della presunta "disinformazione riguardante il Covid-19". Ma ciò che non è stato rivelato è che esisteva un programma governativo formale, esplicito e alla luce del sole, dedicato alla "lotta alla disinformazione Covid-19", al quale Twitter, così come tutte le altre principali piattaforme di social media, erano iscritti.
Nell'ambito di questo programma, le piattaforme inviavano al governo rapporti mensili (poi bimestrali) sui loro sforzi censori. Di seguito è riportata un'immagine dell'archivio dei rapporti “Lotta alla disinformazione sul Covid-19”:
Non ho dovuto entrare nell'intranet del governo statunitense per trovarli. Mi è bastato consultare il sito web pubblico della Commissione europea. Perché il governo in questione non è, dopo tutto, quello degli Stati Uniti, ma la Commissione europea.
I report sono disponibili qui. Affinché non ci siano dubbi sul fatto che il focus di questa “Lotta alla disinformazione sul Covid-19” sia la censura - ma come potrebbero essercene? - il sito web della Commissione specifica che i rapporti includono informazioni su "contenuti retrocessi e rimossi contenenti informazioni false e/o fuorvianti con la potenzialità di causare danni fisici o compromettere le politiche di salute pubblica".
In effetti, i rapporti di Twitter, in particolare, includono dati non solo sui contenuti rimossi, ma anche sulle vere e proprie sospensioni di account. È proprio grazie ai dati che Twitter stava raccogliendo per soddisfare le aspettative dell'UE che sappiamo che 11.230 account sono stati sospesi in base alla “Covid-19 Misleading Information Policy” di Twitter, recentemente interrotta.
Il programma dell'UE "Fighting Covid-19 Disinformation" è stato lanciato nell'ambito del suo più generale cosiddetto “Codice di condotta sulla disinformazione”. In base al Codice, Twitter e altre piattaforme online e motori di ricerca si sono assunti l'impegno di combattere - cioè sopprimere - ciò che la Commissione europea considera "disinformazione" o "disinformazione".
Nel giugno dello scorso anno è stato adottato un Codice di condotta sulla disinformazione "rafforzato", che ha introdotto in modo formale obblighi di segnalazione per i firmatari del Codice, come è Twitter. Tra gli altri principali firmatari del Codice figurano Google/YouTube, Meta/Facebook, Microsoft - che è in particolare proprietaria di LinkedIn - e TikTok.
Inoltre, il Codice rafforzato ha anche creato una "task force permanente" sulla disinformazione, alla quale sono tenuti a partecipare tutti i firmatari del Codice e che è presieduta nientemeno che dalla stessa Commissione europea. La "task force" comprende anche rappresentanti dei servizi esteri dell'UE.
Come se non bastasse, nel settembre dello scorso anno l'UE ha aperto una "ambasciata digitale" a San Francisco, proprio per essere vicina a Twitter e ad altre importanti aziende tecnologiche americane.
La censura dell'UE è in realtà una censura governativa, cioè una censura che Twitter è tenuto a eseguire pena sanzioni. Questa è la differenza tra la censura dell'UE e quella che lo stesso Elon Musk ha denunciato come "censura del governo statunitense". Quest'ultima si è tradotta in sollecitazioni e richieste, ma non è mai stata obbligatoria e non potrebbe mai esserlo, grazie al Primo Emendamento e al fatto che non è mai stato previsto un meccanismo di applicazione. Qualsiasi legge che crei un meccanismo di applicazione sarebbe ovviamente incostituzionale. Pertanto, Twitter potrebbe sempre dire semplicemente di no.
Ma finché vorrà rimanere sul mercato dell'UE, Twitter non potrà dire di no alle richieste della Commissione europea. Il meccanismo di applicazione che rende obbligatorio il Codice di condotta è il Digital Services Act (DSA) dell'UE. Il DSA dà alla Commissione europea il potere di imporre multe fino al 6% del fatturato globale alle piattaforme che ritiene violino il Codice: notate bene, fatturato globale, non solo fatturato sul mercato UE!
LibPlus
LibPlus critica la creazione di nuovi poteri di emergenza della Commissione Europea per richiedere alle piattaforme di prevenire, eliminare o limitare qualsiasi uso dei loro servizi che potrebbe contribuire a una minaccia alla sicurezza o alla salute.
Ecco cosa comporta:
l’obbligo da parte dei social media di presentare periodicamente rapporti sulla moderazione dei contenuti e sulla “riduzione dei rischi” ai burocrati dell’UE
la supervisione da parte dell’UE della vigilanza delle piattaforme dei social media sulle informazioni “dannose”, che potrebbero potenzialmente includere la disinformazione sulla salute e i “discorsi d’odio illegali”.
la creazione di nuovi poteri di emergenza della Commissione Europea per “richiedere” alle piattaforme dei social media di intraprendere azioni per “prevenire, eliminare o limitare” qualsiasi uso dei loro servizi che potrebbe “contribuire” a una “minaccia” alla sicurezza pubblica o alla salute pubblica.
E si badi che perché qualcosa sia una “minaccia” non è necessario che sia falsa, è sufficiente che possa potenzialmente spingere a comportamenti che l’autorità politica ritiene pericolosi o frenare l’adesione a comportamenti che l’autorità politica ritiene virtuosi.
Durante il covid sono state censurate informazioni vere perché “promuovevano l’esitazione a vaccinarsi”. Per cui se io condivido uno studio sulle miocarditi e gli effetti collaterali dei vaccini non conta se lo studio sia solido, inattaccabile, peer reviewed e accettato dall’intera comunità scientifica, vengo comunque censurato perché la gente leggendolo poi non si fiderebbe più dei vaccini ed esiterebbe a vaccinarsi.
L’Indipendente
L’Indipendente è uno dei pochi giornali che sottolinea, in modo dettagliato, come il DSA dia un grande potere di controllo, orientamento e censura della discussione pubblica online alla politica e alle istituzioni europee.
Mentre da parte europea e sul mainstream si sottolineano i lati positivi della norma (che prevede maggior tutela dei dati personali e limiti alla profilazione e alla riservatezza delle chat), ben poco si parla dei rischi connessi alla limitazione del diritto alla libera espressione previsto dai punti che prevedono il controllo della “disinformazione” e in particolare di quanto previsto al punto 91 della legge, che prevede meccanismi per ridurre i confini della libertà di parola attuabili “in presenza di circostanze eccezionali che comportino una minaccia grave per la sicurezza pubblica o per la salute”.
Le grandi piattaforme online saranno soggette a requisiti sulla valutazione indipendente e annuale dei rischi sistemici di disinformazione, contenuti ingannevoli, violazione dei diritti fondamentali dei cittadini e violenza di genere e minorile. Le violazioni del regolamento comporteranno multe fino al sei per cento del fatturato globale e saranno sorvegliate dalle autorità nazionali (le piattaforme più piccole) e dalla Commissione Ue che ha potere esclusivo su quelle più grandi.
Il regolamento pone particolare attenzione al fenomeno della “disinformazione” restando però sul vago, non definendo nel dettaglio ciò che può essere considerato come tale. Di conseguenza, anche eventuali opinioni o studi difformi dalla linea “istituzionale” potrebbero venire etichettati come disinformazione. In particolare, al punto 84 del DSA si legge che «Nel valutare i rischi sistemici individuati nel presente regolamento, tali fornitori dovrebbero concentrarsi anche sulle informazioni che non sono illegali ma contribuiscono ai rischi sistemici individuati nel presente regolamento. Tali fornitori dovrebbero pertanto prestare particolare attenzione al modo in cui i loro servizi sono utilizzati per diffondere o amplificare contenuti fuorvianti o ingannevoli, compresa la disinformazione. Qualora l’amplificazione algoritmica delle informazioni contribuisca ai rischi sistemici, tali fornitori dovrebbero tenerne debitamente conto nelle loro valutazioni del rischio».
Il testo risulta ancora più esplicito per quanto riguarda eventuali situazioni di crisi, quali una minaccia per la sicurezza o la salute pubblica, calamità naturali o atti di terrorismo: in questi casi, al punto 91 si legge che «La Commissione dovrebbe poter chiedere ai prestatori di piattaforme online di dimensioni molto grandi e ai prestatori di motori di ricerca online di dimensioni molto grandi, su raccomandazione del comitato europeo per i servizi digitali («comitato»), di avviare con urgenza una risposta alle crisi. Le misure che tali prestatori possono individuare e considerare di applicare possono includere, ad esempio, l’adeguamento dei processi di moderazione dei contenuti e l’aumento delle risorse destinate alla moderazione dei contenuti […]». Tutte le eventuali future emergenze potrebbero, dunque, fornire il pretesto per limitare la libertà d’informazione censurando opinioni, dati e studi non allineati.
La facoltà di vigilare sulla correttezza delle informazioni e dei contenuti, stabilendo, dunque, ciò che è vero e ciò che è falso è stata attribuita in primo luogo ad un organo politico: la Commissione Europea e, nello specifico, al Comitato europeo per i servizi digitali che vigilerà strettamente sulle società e sui contenuti. Un’architettura di controllo che ha portato diversi rappresentanti politici e dell’informazione a parlare di una minaccia per la democrazia.
Il tutto senza tralasciare che, grazie ai cosiddetti Twitter Files, è emerso che dietro alle grandi piattaforme vi sia la pressione dei governi che dettano ai colossi del digitale la linea politica e ideologica da seguire.
Infine, si sottolinea come il potere di decidere sulla correttezza e sulla legittimità dei contenuti sia eccessivamente sbilanciato verso la Commissione europea che avrà anche accesso agli algoritmi, assumendo così un ruolo “plenipotenziario”.
Privacy Chronicles
Il DSA sembra la trasformazione in legge di quello che abbiamo subito negli ultimi due anni: filtri e sistemi automatizzati per la censura di determinati contenuti, shadowban, pagine, canali e podcast chiusi e proliferazione di sedicenti fact-checker.
Una grossa fetta del DSA riguarda poi quelli che il legislatore chiama rischi sistemici.
[..]
I rischi devono essere mitigati dalle piattaforme con ogni mezzo possibile. Ad esempio dovrebbero potenziare le attività di moderazione dei contenuti e modificare gli algoritmi di raccomandazione per scoraggiare la diffusione di contenuti da cui potrebbero derivare i rischi di cui sopra.Tra le possibili misure correttive il Digital Services Act suggerisce anche la soppressione delle capacità di monetizzazione degli account “pericolosi” e il miglioramento della visibilità delle fonti d’informazione autorevoli (cioè quelle di stato).
Ricapitolando, da una parte abbiamo i nuovi cani da guardia: da una parte il coordinatore dei servizi digitali (di designazione politica), dall’altra invece i segnalatori attendibili che potranno essere organizzazioni portatrici di interessi collettivi — se non proprio organi di polizia come Europol.
Allo stesso tempo, le piattaforme online saranno obbligate a creare misure automatizzate e non per contrastare la diffusione dei contenuti illegali e per “migliorare la visibilità delle fonti di informazione autorevoli”.
Sembra la trasformazione in legge di quello che abbiamo subito negli ultimi due anni: filtri e sistemi automatizzati per la censura di determinati contenuti, shadowban, pagine, canali e podcast chiusi e proliferazione di sedicenti fact-checker.
Non bisogna neanche lasciarsi ingannare dalla presenza di motivazioni virtuose, come la tutela dei diritti dei minori. Dietro alla tutela dei minori si nascondono spesso attività di sorveglianza e schedatura degli utenti. Proprio a questo riguardo il Digital Services Act imporrà alle piattaforme online di introdurre meccanismi di verifica dell’età, che ben si prestano a diventare meccanismi di identificazione delle persone, che quindi non avranno più la possibilità di essere anonime o pseudo-anonime.
Il Petulante
Martino Dettori su Il Petulante dice chiaramente che l’UE con il DSA ha costruito un sistema di censura e controllo politico della discussione pubblica, contro la libera discussione e contro l’informazione alternativa.
Ormai stanno venendo allo scoperto. Non fanno più buon viso a cattivo gioco, né si accontentano di qualche mugugno. Vogliono la censura in Europa. La censura delle idee, delle opinioni, della libera informazione. Deve passare solo ciò che fa comodo alla propaganda occidentale e anglosferica, mentre tutto il resto deve essere censurato sotto l’etichetta tutta politica delle fake news e della disinformazione russa.
Del resto è chiaro: le piattaforme dovranno trasformarsi nei guardiani della verità istituzionale, nei poliziotti che dovranno sorvegliare ciò che condividono gli utenti e verificare se ciò che è condiviso è conforme alla verità ufficiale oppure no. Dovranno contrastare quello che l’autorità definisce fake news o disinformazione, e dovranno eventualmente collaborare per rimuovere i contenuti considerati tali, con buona pace della pluralità informativa.
E poco importa che poi vengano predisposti sistemi di ricorso e di contestazione più o meno efficaci o trasparenti. Quello che importa è che esista un meccanismo abbastanza forte ed efficiente che possa contrastare l’informazione alternativa, chiamata comodamente “disinformazione”, che è parola senza reale significato giuridico, ma dal chiaro significato politico.
Byoblu
Su Byo Blu dibattono Matteo Gracis, Gandolfo Dominici, Renate Holzeisen e Paolo Becchi, mettendo in luce aspetti positivi e negativi del Digital Service Act.
Oggi è entrato ufficialmente in vigore il Digital Service Act, nuovo regolamento europeo che se nelle intenzioni mira a rendere più “sicura” la fruizione dell’internet agli utenti, dall’altra va a stringere ancora di più le maglie della censura social, soprattutto per chi lavora nel campo dell’informazione. Byoblu, che è uno spazio libero e che mira a far crescere il dibattito critico, ha approfondito questo tema dando spazio a voci contrastanti sull’argomento. Ospiti di stasera il giornalista Matteo Gracis, il professore Gandolfo Dominici, l’avvocato Renate Holzeisen e il filosofo Paolo Becchi.