SUBSTACK - MENO CENSURA PIÙ FIDUCIA
Cos'è Substack. Cosa distingue le sue scelte di moderazione. Substack e il giornalismo indipendente. Substack lotta alla disinformazione e democrazia. Giornalisti passati a Substack. Substack italiani
INDICE
Che cos’è Substack?
Substack è una piattaforma che permette a qualsiasi persona, giornalista o azienda di creare una newsletter e chiedere soldi ai lettori per finanziarla, e si mantiene trattenendo il 10% delle entrate di ogni newsletter.
Il lettore può scegliere se abbonarsi gratuitamente o a pagamento (su base annuale o mensile) e può leggere quanto viene pubblicato sulla propria mail, sull’app di Substack, online sulla pagina web della newsletter o anche abbonarsi tramite servizi di aggregazione come Feedly o Inoreader.
Esistono ovviamente molti altri servizi che permettono di fare la stessa cosa, ma nessuno offre un sistema tanto efficiente e intuitivo per ottenere soldi dai lettori.
Nel corso del tempo Substack ha sviluppato una propria app (Android e iOS), si è esteso ai podcast, e ha introdotto Notes, che gli è valsa una disputa con Elon Musk.
Rispetto a social e piattaforme generaliste che cercano di far convivere tutte le esigenze, tutti gli usi, tutti i tipi di contenuto e di pubblico, o rispetto alla tendenza a rendere tutto breve e veloce, semplice e d’impatto, per inseguire i click e le emozioni, Substack ha riportato in auge una scrittura più lunga e pensosa, fatta però non dalla torre d’avorio del New York Times o del Washington Post, ma in un ambiente dove i lettori discutono con gli autori, gli autori si raccomandano e ripostano a vicenda, e tutti quanti, autori e lettori, chattano fra di loro.
Da chi è stata fondata?
Substack è stata fondata nel 2017 da Chris Best, cofondatore di Kik Messenger (un’applicazione di messaggistica istantanea); Jairaj Sethi, responsabile della piattaforma e sviluppatore principale di Kik Messenger; e Hamish McKenzie, ex reporter specializzato in tecnologia.
Scelte di moderazione diverse
A distinguere Substack non sono solo il design user-friendly pulito e piacevole che gli garantisce una notevole facilità d’uso tanto per gli autori che per i lettori, e il modello di business estremamente semplice e intuitivo, ma anche le sue scelte di moderazione.
Substack è diventato subito un posto adatto per scrivere riflessioni più lunghe, complesse, articolate e approfondite di quelle che si scrivono generalmente sui social, anche perché ha scelto un approccio alla moderazione minimal.
Su Substack sostanzialmente si può scrivere liberamente, si può scrivere di tutto, si possono affrontare argomenti controversi ed esporre opinioni minoritarie, senza paura di venire improvvisamente bloccati senza una spiegazione, demonetizzati o subire uno “shadow ban” (una riduzione della visibilità applicata senza informare il soggetto bannato).
Questo approccio è allo stesso tempo un buon approccio dal punto di vista politico democratico-liberale, perché difende la libera discussione pubblica che è il nocciolo di un sistema democratico, e un buon piano di business.
Come scrivevo altrove, in un articolo dedicato ai Twitter Files:
Non avremmo avuto Substack e il suo successo, se non avessimo avuto un’ampia domanda per qualcosa di simile, per una piattaforma più indipendente e neutrale, che ha convintamente e coerentemente sostenuto un approccio alla moderazione online meno incline alla censura.
Una posizione che per degli imprenditori del settore è allo stesso tempo ideale/politica e economica/imprenditoriale. In questi anni questa scelta si è rivelata una strategia vincente: Substack è diventata la piattaforma su cui molte delle più importanti voci critiche durante la pandemia hanno potuto scrivere e trovare lettori.
La moderazione esagerata, la censura, le decisioni imprevedibili e insindacabili dei social non sono un problema per tutti: ci sono mille modi di usare Facebook e Twitter che non vengono toccati da nulla di tutto questo. Ma tutta una serie di persone, ad esempio appunto i giornalisti indipendenti, che campano della visibilità che riescono a ottenere per il proprio lavoro, nel trovarsi bannate, demonetizzate, bloccate, nascoste, poste dietro dei warning, spesso in modo incoerente, imprevedibile e incontestabile, si sono trovate limitate nel proprio lavoro. Le loro esigenze e quelle del loro pubblico erano in cerca di alternative e Substack gliele ha fornite.
Una posizione che i tre fondatori stessi hanno spiegato in un articolo, significativamente intitolato “La società ha un problema di fiducia. Un'ulteriore censura non farà che peggiorare la situazione”:
Di fronte alle crescenti pressioni per censurare i contenuti pubblicati su Substack che ad alcuni sembrano dubbi o discutibili, la nostra risposta rimane la stessa: prendiamo decisioni basate sui principi e non sulle pubbliche relazioni, difendiamo la libera espressione e ci atteniamo al nostro approccio non vincolante sulla moderazione dei contenuti. Pur avendo delle linee guida sui contenuti che ci permettono di proteggere la piattaforma nei casi estremi, considereremo sempre la censura come l'ultima risorsa, perché crediamo che un discorso aperto sia meglio tanto per gli scrittori che per la società.
Questa posizione ha alcune scomode conseguenze. Significa che permettiamo agli autori di pubblicare ciò che vogliono e ai lettori di decidere da soli cosa leggere, anche quando il contenuto è sbagliato o offensivo, e anche quando questo significa sopportare la presenza di scrittori con i quali siamo in forte disaccordo. Ma crediamo che questo approccio sia un prerequisito necessario per costruire la fiducia nell'ecosistema dell'informazione nel suo complesso. Più le istituzioni potenti tentano di controllare ciò che può o non può essere detto in pubblico, più persone saranno pronte a creare narrazioni alternative su ciò che è "vero", spinte dalla convinzione che ci sia una cospirazione per sopprimere le informazioni importanti. [..]
Stiamo vivendo un'epidemia di sfiducia, soprattutto negli Stati Uniti. La fiducia nei social media e nei media tradizionali è ai minimi storici. La fiducia nel governo federale degli Stati Uniti per la gestione dei problemi è quasi ai minimi storici. La fiducia nelle principali istituzioni statunitensi è a meno di 2 punti percentuali dal minimo storico. Le conseguenze sono profonde.
Il calo della fiducia è sia una causa che un effetto della polarizzazione, che riflette e dà origine a condizioni che compromettono ulteriormente la nostra fiducia reciproca e nelle istituzioni. Questi effetti sono particolarmente evidenti nei nostri luoghi di ritrovo digitali. Per mantenere il favore del proprio gruppo, è necessario difendere la propria parte, anche quando ciò significa essere selettivamente onesti o iperbolici, e anche se ciò significa privilegiare le narrazioni cospiratorie rispetto alla ricerca della verità. [..]
I nostri sistemi informativi non hanno creato questi problemi, ma li accelerano. In particolare, i social media che amplificano i contenuti controversi contribuiscono all'intensificazione e alla diffusione della sfiducia. Allo stesso tempo, aumentano la pressione sui media tradizionali - stampa tradizionale, notiziari televisivi, radio - affinché si contendano l'attenzione a tutti i costi, con conseguenze simili. Le persone iniziano a fissarsi sul bollare gli avversari come venditori di pericolosa disinformazione, minacce alla democrazia, terroristi e ciarlatani. Nella frenesia di uccidere tutti i mostri, continuiamo a crearne altri e ad alimentarli. Nel frattempo, la gamma dei punti di vista e delle voci accettabili all'interno di ciascun gruppo si restringe sempre di più.
È in questo ambito che speriamo di dare un contributo con Substack. Mentre l'economia dell'attenzione genera potere sfruttando gli impulsi di base e i momenti di attenzione, una sana economia dell'informazione trarrebbe potere dalla forza e dalla qualità delle relazioni che si costruiscono nel tempo. La forza di queste relazioni dipenderebbe dal fatto che gli scrittori e i lettori non si sentono imbrogliati, coccolati o accondiscendenti. Sapere di essere su una piattaforma che difende la libertà di espressione può dare agli scrittori e ai lettori una maggiore fiducia nel fatto che le loro fonti di informazione non siano manipolate in qualche modo oscuro. In parole povere: la censura delle cattive idee rende le persone meno propense, non più propense, a fidarsi delle buone idee.
Substack e il giornalismo indipendente
Con Donald Trump, il Russiagate, il cambiamento climatico, la pandemia e ora la guerra in Ucraina, da un lato è costantemente aumentata la polarizzazione, dall’altro è costantemente diminuita la fiducia nei media e dall’altro ancora è aumentato enormemente il controllo politico della discussione pubblica, vuoi “di nascosto” come in USA (i Twitter Files e il lavoro di Taibbi e Shellenberger sul Censorship Industrial Complex lo hanno ben illustrato), vuoi alla luce del sole come in Europa con il DSA, il DMA e una serie di altre leggi.
Molti giornalisti che erano già indipendenti hanno trovato sempre più difficile fare il proprio lavoro in questo contesto, mentre molti giornalisti hanno scelto di diventare indipendenti per liberarsi almeno in parte dalle costrizioni che questo contesto poneva loro all’interno delle grandi media corporations.
Substack li ha aiutati, difendendo la loro libertà e indipendenza tramite le sue scelte di moderazione e dando loro un modello di business in grado di remunerare economicamente il loro lavoro in modo appropriato.
Tra le altre cose, essendo remunerati dai lettori (anche se volendo si possono pubblicare contenuti sponsorizzati su Substack), gli autori sono protetti anche rispetto alle organizzazioni dedite alla “lotta alla disinformazione”. Uno degli effetti di una bocciatura da parte di queste organizzazioni è infatti l’esclusione da pubblicità e programmi di advertising, due fonti di guadagno che non contano su Substack.
Per questo è diventato - tra le altre cose (attenzione che non è solo questo!) - la casa di tanti grandi nomi del giornalismo.
Alcuni esempi fra tutti:
Glenn Greenwald, giornalista premio Pulitzer per il suo lavoro con Snowden, quando su The Intercept (giornale che aveva paradossalmente cofondato per garantire la libertà ai giornalisti più indipendenti e fare adversarial journalism) hanno limitato la sua libertà di trattare lo scandalo Hunter Biden si è licenziato e trasferito su Substack.
I Twitter Files: Taibbi, Shellenberger, Weiss e gli altri giornalisti che hanno pubblicato i Twitter Files erano d’accordo con Musk che inizialmente li avrebbero pubblicati su Twitter e così è stato, ma successivamente il luogo dove hanno approfondito e discusso quanto rivelato è stato Substack.
Seymour Hersh: è su Substack che Hersh ha pubblicato la sua controversa ricostruzione degli attentati ai gasdotti Nord Stream.
Numerosi giornalisti hanno lasciato i propri giornali per Substack, o hanno smesso di proporre il proprio lavoro principalmente a media mainstream per pubblicarlo invece tramite Substack.
Substack ha corteggiato queste voci del giornalismo indipendente, cercando ovviamente di attirare grandi nomi che potessero trascinare autori e pubblico verso la loro piattaforma, e si può dire che l’operazione sia ben riuscita.
Su Substack si sono potute e si possono leggere le voci scettiche sui vaccini, sulle misure non farmaceutiche, sul cambiamento climatico, sulla guerra in Ucraina e - ovviamente - sulla lotta alla disinformazione. Voci anarchiche, libertarie, radicali, di estrema sinistra o di estrema destra o con vari tipi di opinione eterodossa o semplice giornalismo indipendente con una attitudine critica verso il potere politico.
Chiaramente ciò che viene pubblicato su Substack non passa da un processo editoriale simile a quello che esce da un quotidiano, nel bene e nel male, dunque va preso per certi versi con maggiori cautele. Ma è indubbio che qui si respiri un’aria di libertà intellettuale che altrove manca assolutamente.
Substack, la lotta alla disinformazione e la democrazia
Personalmente penso che, specialmente durante la pandemia, Substack abbia fatto più di molti altri per la democrazia e la convivenza civile.
La libera discussione pubblica è il cuore pulsante di una democrazia. La funzione di controllo del giornalismo rispetto al potere politico è parte integrante del funzionamento di una democrazia. Ma negli ultimi anni, specialmente durante la pandemia, la stampa mainstream ha abdicato al suo ruolo. E la discussione pubblica è stata posta sotto controllo dal potere politico e censurata.
Queste tendenze non sono finite con la fine della pandemia, sono rimaste e oggi in tutto il mondo occidentale questo controllo politico dell’informazione viene istituzionalizzato attraverso vari tipi di interventi, come il Digital Service Act europeo, l’Online Safety Bill nel Regno Unito, la creazione dell’IPIE (International Panel on The Information Environment). Non per nulla il mio Substack è interamente dedicato ad affrontare questo tipo di questioni.
Se c’è una piattaforma che ha dato e dà spazio alle voci non ortodosse, permettendo la loro inclusione nella discussione pubblica, onorando la libertà di espressione e il pluralismo, e che ha dato maggiori libertà e indipendenza a tanti giornalisti, è stata ed è Substack.
Alcuni esempi: giornalisti passati a Substack
Matt Taibbi è arrivato all’auto pubblicazione su Substack da storico collaboratore di Rolling Stone quale era, famoso soprattutto per il suo lavoro sul racconto della crisi finanziaria del 2007-2009. Il resto è storia, come si dice..
Glenn Greenwald, come già detto, vi è arrivato dopo la rottura con The Intercept, giornale che aveva co-fondato, dopo aver lasciato il Guardian. Da ottobre 2020, Greenwald è rimasto sulla piattaforma fino a febbraio 2023, poi si è definitivamente trasferito su Rumble dove produce e conduce System Update, un programma di notizie in diretta in prima serata.
Lee Fang, come Greenwald, viene da The Intercept che ha lasciato a inizio 2023 per fare di Substack il luogo principale per pubblicare il proprio lavoro.
A proposito di questa scelta Fang ha scritto:
Questa piattaforma mi sembra una casa naturale. Mi disturba la polarizzazione ideologica e partitica che si sta creando nella nostra società, una forza che soffoca la libera espressione in generale e l'inchiesta giornalistica in particolare. Negli ultimi anni l'ambiente mediatico è stato plasmato dal conformismo e, in molti casi, dalla paura. Gli eventi caotici intorno all'elezione di Trump, i dibattiti sull'identità razziale e sul ruolo della violenza politica e, più di recente, la pandemia, sono stati inficiati da opinioni estreme spesso slegate da un esame imparziale. Molti media chiedono di "capire la situazione" e di rigurgitare “saggezza convenzionale”, un sentimento direttamente opposto al giornalismo indipendente. Substack si distingue come faro per il pensiero individuale.
Bari Weiss era una famosa e influente giornalista del New York Times, di orientamento più conservatore rispetto ai colleghi (noi diremmo di centro destra), che si è dimessa nel 2020 con una lettera che ha fatto molto discutere.
Sono entrata a far parte del giornale con gratitudine e ottimismo tre anni fa. Sono stata assunta con l'obiettivo di portare voci che altrimenti non sarebbero apparse sulle vostre pagine: scrittori esordienti, centristi, conservatori e altri che non avrebbero pensato naturalmente al Times come a casa loro. La ragione di questo sforzo era chiara: l'incapacità del giornale di anticipare l'esito delle elezioni del 2016 significava che non aveva una solida padronanza del paese che copriva. Dean Baquet e altri lo hanno ammesso in varie occasioni. La priorità era quella di contribuire a colmare questa lacuna critica.
Ma le lezioni che avrebbero dovuto seguire le elezioni - sull'importanza di comprendere gli altri americani, sulla necessità di resistere al tribalismo e sulla centralità del libero scambio di idee in una società democratica - non sono state apprese. Al contrario, è emerso un nuovo consenso nella stampa, ma forse soprattutto in questo giornale: che la verità non è un processo di scoperta collettiva, ma un'ortodossia già nota a pochi illuminati il cui compito è informare tutti gli altri.
Le mie incursioni fuori dall’ortodossia mi hanno reso oggetto di continue vessazioni da parte di colleghi in disaccordo con le mie opinioni. Mi hanno chiamato nazista e razzista; ho imparato a ignorare i commenti sul fatto che "sto scrivendo di nuovo sugli ebrei". Diversi colleghi amichevoli con me sono stati attaccati a loro volta. Il mio lavoro e il mio carattere vengono apertamente sminuiti sui canali Slack dell'azienda, dove i direttori di testata intervengono regolarmente. Lì, alcuni colleghi insistono sul fatto che devo essere estirpata se vogliamo che l'azienda sia veramente "inclusiva", mentre altri postano emoji con l'ascia accanto al mio nome. Altri dipendenti del New York Times mi diffamano pubblicamente come bugiarda e bigotta su Twitter, senza temere che queste molestie vengano accolte con provvedimenti adeguati. Che non arrivano mai.
Dopo aver lasciato il NYT si è messa in proprio su Substack con una newsletter chiamata Common Sense, che ha poi trasformato in quella che è stata probabilmente la prima “media company” sulla piattaforma: The Free Press.
Un esperimento di successo a cui oggi collaborano giornalisti di primo piano e su cui escono regolarmente articoli e scoop che hanno una forte eco in tutto il dibattito pubblico.
Ecco come il Foglio raccontava questo successo a fine 2021:
“Non avevo un piano alternativo – ha raccontato la Weiss, che allora era redattrice di editoriali e delle pagine culturali del quotidiano americano – Non avevo alcuna idea, non ho fatto nulla per un po’ perché ero scioccata e non sapevo come muovermi”. Poi si è mossa, è andata su Substack e ha creato Common Sense, una newsletter e in seguito un podcast che oggi “mi fa guadagnare più soldi di quanti avrei mai potuto immaginare possibili nel giornalismo”, ha detto a Brian Stelter della Cnn. Il sito MarketWatch ha calcolato che il fatturato si aggira sugli 800 mila dollari l’anno, “ma li sto reinvestendo per assumere delle persone, ora cinque, e per pagare gli autori che scrivono per Common Sense”.
La Weiss dice che questa “baby news organization” è la risposta al fallimento dei media tradizionali che non si occupano più di pubblicare quel che accade ma soltanto quello che “si adatta alla narrazione” corrente, lasciando così un enorme spazio da colmare con idee, storie e dibattiti che possono sembrare “sconvenienti o sgradevoli” al mainstream. La “curiosità” è il traino della Weiss e, dice, anche di molti lettori: il segreto di Common Sense è raccontare “storie che vent’anni fa anche i grandi giornali avrebbero raccontato, ma che ora non pubblicano più” perché “l’autocensura interna” nei media e nelle istituzioni ha avuto il sopravvento.
Michael Shellenberger, diventato famoso in particolare nel 2020 con la pubblicazione di Apocalypse Never e per una lettera in cui da ambientalista si scusava per l’allarmismo climatico, è approdato su Substack con Public, per poi diventare insieme a Matt Taibbi uno dei due principali autori dei Twitter Files e degli scoop sulla censura della discussione pubblica esercitata dal governo e dalle istituzioni americane.
Così spiega le ragioni per cui ha fondato questa pubblicazione:
La gente non si fida dei media, ed è facile capire perché. I principali organi di informazione hanno riferito in modo impreciso che l'Iraq aveva armi di distruzione di massa. Hanno liquidato come una "teoria della cospirazione sfatata" la possibilità reale che il covid potesse essere fuoriuscito da un laboratorio. E hanno perpetuato narrazioni fuorvianti su tutto, dalla distruzione della foresta pluviale al sesso biologico, alla criminalità.
E così abbiamo fondato Public. La nostra missione è raccontare grandi storie sulle questioni più importanti del giorno, dalla censura alle città, dalla salute mentale alle dipendenze, dall'energia all'ambiente.
Alex Berenson ex autore del New York Times ha aperto su Substack una propria newsletter da scettico sui vaccini covid che ha avuto un enorme successo.
Chris Hedges è un ex reporter del New York Times, che ha abbandonato nel 2005, per poi lavorare su varie altre pubblicazioni e seguire vari altri progetti tra cui uno show su Russia Toaday (On contact: in cui racconta aveva la massima indipendenza). Nel 2022 ha iniziato la produzione di The Chris Hdege Report su Substack che comprende articoli, video e podcast. La spiegazione di Chris di ciò che muove il suo giornalismo è questa:
I parametri dell'inchiesta giornalistica accettabile si sono drammaticamente ristretti nel corso dei quasi quattro decenni in cui sono stato reporter e autore. I giornali, dove ho iniziato la mia carriera, si sono atrofizzati o sono morti. I media sono nelle mani di una mezza dozzina di corporazioni che impongono un'uniformità di opinione e vietano le opinioni di chi denuncia i crimini dell'impero, l'economia di guerra permanente, lo stato di apartheid di Israele, il nostro processo politico saturo di denaro e la disuguaglianza sociale.
Gli informatori, la linfa vitale del giornalismo investigativo, sono stati praticamente messi a tacere da una combinazione di sorveglianza governativa su larga scala - il motivo per cui Edward Snowden ha immediatamente lasciato il Paese dopo aver rivelato che eravamo tutti osservati, tracciati e monitorati dal governo - e dall'uso improprio dell'Espionage Act per perseguire coloro che rivelano le malefatte e i crimini del governo.
Emily Atkin è una giornalista e una scrittrice che si occupa di ambiente, a cui dedica la sua newsletter quotidiana sul clima. Ha collaborato con una infinità di media come The Nation, The Daily Beast, Newsweek, The New Republic, Slate, Mother Jones, Sojourners, CityLab, The Hill, MSNBC, CSPAN e NPR. La sua prospettiva si può definire diametralmente opposta a quella di Alex Epstein:
La maggior parte della colpa dell'emergenza climatica è da attribuire agli avidi, ai codardi, agli assetati di potere e agli apatici. Ecco perché ho creato questa newsletter: per esporre e spiegare le forze che stanno dietro all'inazione passata e presente sulla minaccia più esistenziale del nostro tempo.
[..]
La comunità ambientalista ha a lungo dibattuto sulla migliore strategia per coinvolgere il pubblico sul clima. I giornalisti devono trasmettere messaggi di ottimismo e speranza? O dovrebbero fomentare la paura scrivendo delle terribili proiezioni degli scienziati sul futuro? Questo dibattito va bene, ma manca un'emozione chiave: la rabbia.
Casey Newton è un giornalista tech americano che dopo essere stato senior editor su The Verge ha creato la newsletter dedicata alla tecnologia The Platformer, che vuole essere:
una guida quotidiana alla comprensione dei social network e delle loro relazioni con il mondo, e il modo migliore per tenersi aggiornati sugli eventi più importanti di Facebook, Google, YouTube, Twitter, Snap e TikTok, con regolari apparizioni di Apple, Amazon, Microsoft e delle piattaforme emergenti che li stanno sfidando.
Altri esempi: non solo giornalisti
Alex Epstein è un giovane, rampante, filosofo che si occupa di energia e combustibili fossili da una prospettiva contrarian a difesa dei combustibili fossili. Autore di due libri, controversi ma straordinari, come "The moral case for fossil fuels” e “Fossils future”, la sua newsletter è Energy Talking Points.
Sensible Medicine è un Substack condiviso che presenta voci di medici, scienziati e pensatori di spicco in ambito medico. Con autori come John Mandrola e Binay Prasad si è rivelata una pubblicazione interessante e bilanciata in tempo di pandemia e in generale capace di presentare questioni complesse in modo comprensibile, ma senza tradirne il senso, e particolarmente interessante anche per gli articoli dedicati a spiegare quali sono i punti di forza e di debolezza degli studi e a denunciare la pubblicazione di studi scadenti.
Richard Dawkins famoso biologo evoluzionista e ateo convinto, autore di best sellers come “L'illusione di Dio”, “Il gene egoista” e “L'orologiaio cieco”, non credo abbia bisogno di molte presentazioni. La sua newsletter si intitola “La poesia della realtà”.
Michael Huemer uno dei più importanti e rinomati filosofi libertari - volontaristi.
Razib Khan è un autore di origini bengalesi, che vive in America, che si occupa di genetica delle popolazioni e genomica dei consumatori, riuscendo nell’impresa di renderle comprensibili e interessanti. Assoldato dal New York Times come blogger e immediatamente “deplatformato” perché è emerso che alcuni suoi pezzi sono usciti per siti alt-right, con la sua newsletter “Unsupervised learning” propone conversazioni su genetica, storia, politica, libri, cultura ed evoluzione, riuscendo a toccare in modo equilibrato temi controversi che altri non toccherebbero con le pinze, tanto da essere uno di quei rari autori che godono della stima delle persone più diverse (nel suo caso per es. da Steven Pinker a Freddie De Boer).
Substack italiani
Anche in Italia molti e diversi autori hanno aperto il loro Substack. Anche se non conosco molti casi di giornalisti che si siano resi indipendenti lasciando il proprio impiego presso giornali mainstream per mettersi in proprio su Substack.
Piuttosto i primi a interessarsene sono stati quelli che si occupano di tecnologia e comunicazione digitale.
E tutti coloro che pur non essendo giornalisti e non lavorando nel campo della comunicazione e della scrittura, hanno pensato di trovare in questa piattaforma l’occasione per far sentire anche la loro voce.
Ecco alcuni esempi:
Vincenzo Marino scrive su Domani di internet e consumi culturali, ha pubblicato un libro intitolato “Sei Vecchio. I mondi digitali della Generazione Z” e ha una newsletter chiamata “zio” che descrive così:
zio è la newsletter che cerca di capire di cosa parlano e cosa fanno i teenager di oggi quando fissano i loro telefoni.
In pratica prendiamo spunto da trend e consumi culturali rilevanti per la Gen Z, per farci dei viaggioni sull’universo dei contenuti digitali e sul nostro rapporto con la rete.
Cosa non è zio: una newsletter su mode e tendenze dei giovani.
Pietro Minto, giornalista freelance che scrive di tecnologia per quotidiani come Il Post, Il Foglio, Lifegate, Linkiesta e altri. Per il resto, il nome della newsletter è abbastanza auto esplicativo..
Riccardo Bassetto su Technicismi propone una
selezione di approfondimenti, news, risorse e altre cose interessanti che raccontano il cambiamento nel mondo, provocato dal cambiamento tecnologico.
Valerio Bassan su Ellissi si occupa del futuro dei media nell’economia digitale.
Federico Rivi, giornalista under 30, ma soprattutto studioso ed esperto di bitcoin nella sua newsletter Bitcoin Train
perlustra l’universo della regina delle criptovalute partendo dall’attualità e prepara il lettore per salire su un treno che, fidatevi, è ancora fermo in stazione ad aspettare anche i più scettici.
Guerre di Rete di Carola Frediani propone
analisi e notizie su temi legati alla cybersicurezza, la privacy, i diritti digitali, l’intelligenza artificiale, il cybercrimine, la sorveglianza
dall’unione della newsletter “Guerre di rete” e “Cyber Saiyan”, una community indipendente di professionisti del settore della cybersicurezza, è poi nato l’omonimo progetto Guerre di Rete, che è secondo me uno dei progetti giornalistici italiani più belli e riusciti:
Guerre di Rete si sviluppa intorno al modello dello “slow journalism”, non rincorrendo la notizia giornaliera ma cercando di dare senso e completezza alle storie e alle vicende più significative, in maniera trasparente e con toni misurati e distaccati.
Vogliamo raccontare i temi cyber in modo giornalistico, cercando di inserire all’interno del panorama esistente un modello di informazione ispirato ai principi di accuratezza, verifica delle fonti e originalità. Vogliamo informare in modo chiaro ed esaustivo, alimentando un dibattito attento e consapevole su quello che oggi si definisce cybersicurezza.Crediamo che un’informazione sana su temi così importanti sia indispensabile per poter interpretare il mondo che ci circonda con gli strumenti giusti. Per questo motivo desideriamo rivolgere i nostri contenuti a un pubblico ampio. Articoli precisi ma semplici, in grado di rendere accessibili gli argomenti trattati a chi, con mente curiosa, riconosce un valore nei principi che strutturano il progetto.
Giulio Meotti, giornalista de Il Foglio, ha un suo Substack dedicato principalmente alla critica culturale, alle questioni socio-demografiche legate alla modificazione etnico-religiosa in atto nelle popolazioni europee.
Stefano Feltri, fondatore ed ex direttore di Domani, ha aperto una propria newsletter - Appunti - in occasione dell’uscita del suo ultimo libro Inflazione, per parlare della crisi dei prezzi che scuote le nostre società, e di politica, economia e attualità più in generale.
Alberto Mingardi è un liberalissimo, dirige l’Istituto Bruno Leoni, insegna Storia delle Dottrine Politiche, ha scritto vari libri tra cui l’ultimo è "La società chiusa in casa. La libertà dei moderni dopo la pandemia" e la sua newsletter si chiama The curious task da una citazione di Hayek:
Il curioso compito dell'economia è dimostrare agli uomini quanto poco sappiano in realtà di ciò che immaginano di poter progettare. Alla mente ingenua che può concepire l'ordine solo come il prodotto di una disposizione intenzionale, può sembrare assurdo che in condizioni complesse l'ordine e l'adattamento all'ignoto possano essere raggiunti in modo più efficace decentrando le decisioni e che una divisione dell'autorità estenda di fatto la possibilità di un ordine generale. Eppure, il decentramento porta a prendere in considerazione un maggior numero di informazioni.
Matte Galt si descrive così
autore di Privacy Chronicles. Consulente ed educatore privacy. Libertario oggettivista. Galt, come John Galt.
e così presenta la sua newsletter
Notizie settimanali sulla sorveglianza di massa e l'agenda globalista. Consigli utili per salvaguardare la propria identità e i propri dati e un approfondimento sulla filosofia e la storia libertaria.
Martino Dettori è l’autore de Il Petulante:
Il Petulante è un blog di analisi e di opinioni politiche ed economiche, firmato da Martino Dettori, che è nome di fantasia. E perché lo è? Perché si ritiene che il lettore si debba concentrare sul contenuto e non su chi lo scrive.
Una newsletter con opinioni molto politicamente scorrette, ma non per questo per forza sbagliate.
Ottimo pezzo. Personalmente ho scoperto Substack recentemente, e devo dire di essermene innamorato completamente proprio per la libertà che offre, l’essenzialità ed il contatto diretto con la propria community: niente più policy stringenti da rispettare, niente più astrusi algoritmi da soddisfare, niente editori a cui dover rendere conto, niente clima bigotto e conformista che ti spinge a tirare i remi in barca e ad attuare sottili livelli di autocensura inconsapevole. Qui si respira aria libera, e le uniche due cose che contano sono il contenuto e la community. Come media indipendente sono totalmente nuovo e per ora sto utilizzando Substack solo come diario di bordo in cui pubblicare alcune riflessioni personali, però se le cose dovessero crescere come spero, non escludo di spostare anche i miei contenuti principali qui su Substack in futuro.