MISSOURI VS BIDEN: LA CAUSA CONTRO BIDEN PER VIOLAZIONE DEL PRIMO EMENDAMENTO È DIRETTA VERSO LA CORTE SUPREMA
Dal 2022 l'Amministrazione Biden è sotto processo per aver violato il Primo Emendamento, una causa nata da una serie di vicende che i media italiani hanno ignorato o minimizzato
INDICE
Missouri vs Biden: il riassunto
Chi sono i querelanti?
Chi è il giudice?
Quali sono le accuse?
Il covid
La Great Barrington Declaration
Minacce, intimidazioni e censura
Fauci e le origini del covid
I Twitter Files
La commissione sulla “Weaponization” del governo federale
Hunter Biden
Il cambio di rotta dei Democratici
La tradizione della difesa del Primo Emendamento
Le premesse che non avete
Il Digital Service Act
L’informazione mainstream è pericolosa per la democrazia?
Missouri vs Biden: il riassunto
C'è una causa federale in corso che vede imputata l'amministrazione Biden con l'accusa di aver violato il Primo Emendamento. Si tratta di Missouri v. Biden (qui un riepilogo tecnico di tutti i passaggi della causa), depositata il 5 maggio 2022 e intentata dagli Stati del Missouri e della Louisiana, contro il governo degli Stati Uniti.
I querelanti sono i procuratori generali dei due Stati, Eric Schmitt (ormai ex procuratore, sostituito da Andrew Bailey) e Jeff Landry, entrambi repubblicani, a cui ad agosto 2022 si sono aggiunti, Jim Hoft, proprietario di The Gateway Pundit, Aaron Kheriaty e Jay Bhattacharya e Martin Kulldorff, due dei tre autori della Great Barrington Declaration, tutti rappresentati dalla New Civil Liberties Alliance (NCLA).
I querelanti ritengono che l'amministrazione si sia impegnata in una campagna di pressione rivolta ai social media, come Twitter, YouTube e Facebook, in cui segnalava loro, in modo regolare, i post che il governo riteneva avrebbero diffuso disinformazione e prodotto esitazione a vaccinarsi.
Da maggio 2022 la causa è proseguita attraverso varie vicende, fino ad oggi quando è ormai diretta verso la corte suprema.
Affidata al giudice Terry A Doughty, ha innanzitutto dovuto superare lo scoglio dell’inammissibilità.
Superato questo la causa è potuta proseguire, finché il 4 luglio (NON a caso il Giorno dell'Indipendenza) il giudice Doughty ha riconosciuto le ragioni dei querelanti al punto da ordinare con un’ingiunzione preliminare all'amministrazione Biden e a vari alti funzionari di non comunicare con le società dei social media in merito a determinati contenuti.
La sentenza di Doughty ha vietato ad agenzie governative come il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani, il Dipartimento di Giustizia, il Dipartimento di Stato, i CDC e l'FBI di comunicare con le società dei social media allo "scopo di sollecitare, incoraggiare, fare pressione o indurre in qualsiasi modo la rimozione, la cancellazione, la soppressione o la riduzione di contenuti contenenti libertà di parola protetta".
Per capire bene questo passaggio bisogna tenere presente che l’uso di ingiunzioni preliminari è raro e possono essere emanate solo rispettando delle condizioni stringenti, tra cui: un’ampia probabilità di successo nella causa sottesa, la probabilità di un danno irreparabile se il tribunale non dovesse concedere l'ingiunzione. Proprio questo è ciò che ha sottolineato Doughty: l’estrema probabilità dei querelanti di vedere riconosciute le proprie ragioni e richieste, e la forte possibilità che proseguissero delle eclatanti violazioni al Primo Emendamento.
In risposta all’ingiunzione di Doughty vi sono stati commenti di segno diverso, da chi è stato estremamente critico a chi ha celebrato una vittoria per la libertà di espressione.
Per parte sua l’amministrazione Biden ha risposto facendo appello al “Quinto Circuito” (i tribunali d'appello della magistratura federale sono suddivisi in Circuiti e in questa causa l’appello era di competenza del Quinto Circuito).
La corte d’appello, composta di tre giudici, si è pronunciata l'8 settembre 2023, contro il governo federale. Il tribunale ha ritenuto che alcune delle comunicazioni tra il governo federale e le società di social media per cercare di contrastare la presunta disinformazione sul covid abbiano "costretto o incoraggiato in modo significativo le piattaforme dei social media a moderare i contenuti", violando così il Primo Emendamento.
Ma la corte ha anche stabilito che l'ingiunzione preliminare di Doughty era troppo ampia, in quanto bloccava anche comunicazioni legalmente consentite tra il governo e i social, e l'ha ristretta sia quanto alle azioni vietate all’amministrazione, sia per quanto riguarda i soggetti oggetto del divieto.
I giudici hanno annullato l'ingiunzione nei confronti di tre convenuti: il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (che Anthony Fauci ha diretto fino alla pensione), il Dipartimento di Stato e la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA). I giudici hanno scritto: "Riteniamo che la corte distrettuale abbia commesso un errore nell'imporre un'ingiunzione a questi altri funzionari. In parole povere, in questa fase non c'erano prove sufficienti per ritenere probabile che questi gruppi abbiano costretto o incoraggiato in modo significativo le piattaforme".
Una questione che ha destato perplessità, perché come ha scritto Matt Taibbi:
Essendo una delle poche persone che ha letto in massa le comunicazioni tra aziende tecnologiche e governo (comprese molte che non sono state rese pubbliche), ho pensato che i comportamenti più spaventosi rivelati finora coinvolgessero, in ordine sparso, l'FBI, la Casa Bianca, il Dipartimento della Sicurezza Nazionale (e la sua sotto unità, la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency o CISA) e il Dipartimento di Stato.
Una parte cruciale del caso sembrava riguardare l'Election Integrity Partnership, istituita dall'Università di Stanford in relazione alla CISA nel 2020, riproposta nel 2022 e, secondo quanto riferito, destinata a riproporsi nel 2024 (a breve).
I giudici non solo hanno stabilito che l’attività della CISA di flaggare i contenuti ritenuti disinformazione, che abbiamo visto in abbondanza nei Twitter Files, era una condotta rientrante nello spettro dei "tentativi di convincimento" e non in quello dei "tentativi di coercizione", ma ha anche rimosso i progetti tipo l'Election Integrity Partnership, dall'ingiunzione.
Questo è importante perché l'Election Integrity Partnership sarà probabilmente un veicolo centrale per il monitoraggio della discussione pubblica riguardante le elezioni del 2024.
Infine la corte ha sospeso l'esecuzione dell'ingiunzione per dieci giorni per consentire la presentazione di eventuali ricorsi e l’amministrazione Biden, nonostante l’ingiunzione fosse stata parzialmente limitata dalla corte d’appello, ha deciso di ricorrere alla Corte Suprema.
Quindi il giudice della Corte Suprema Samuel Alito ha concesso una sospensione temporanea dell'ordinanza fino al 23 settembre con possibili estensioni, per dare a entrambe le parti la possibilità di discutere ulteriormente l'appello.
Le prospettive non sembrano onestamente favorevoli all’amministrazione Biden, considerando che la Corte Costituzionale - pur avendo dimostrato che voti e giudizi non sono scontati e non coincidono sempre e comunque con i desiderata della parte che li ha nominati e sono molto più indipendenti di quanto i profani possano pensare - è attualmente di orientamento prevalentemente conservatore.
Chi sono i querelanti?
Eric Schmitt è un politico e avvocato statunitense, membro del Partito Repubblicano, che nel 2019 divenne il Procuratore Generale del Missouri, ruolo da cui ha lanciato - insieme al procuratore della Louisiana - la causa Missouri vs Biden, sul Primo Emendamento, ma che a inizio 2023 è diventato senatore per il Missouri.
Jeff Landry è un politico e un avvocato americano, Procuratore Generale della Louisiana dal 2016, ruolo da cui ha lanciato - insieme al procuratore del Missouri - la causa Missouri vs Biden, sul Primo Emendamento.
Andrew Bailey è un avvocato e politico americano. Repubblicano, è procuratore generale del Missouri dal gennaio 2023, subentrando ad Eric Schmitt da cui ha ereditato anche la causa Missouri vs Biden.
Jim Hoft è uno scrittore e oratore conservatore con sede a St. Louis, Missouri. È noto per aver fondato, nel 2004, The Gateway Pundit, un blog di notizie di indirizzo conservatore e dai toni populisti.
Aaron Kheriaty è un medico specializzato in psichiatria, autore di tre libri, tra cui il più recente, The New Abnormal: The Rise of the Biomedical Security State (2022). È borsista e direttore del Programma di bioetica e democrazia americana presso il Centro di etica e politiche pubbliche.
Jay Bhattacharya è professore di medicina, economia e politica sanitaria e direttore del Centro di demografia ed economia della salute e dell'invecchiamento all’Università di Stanford. Nonché uno degli autori della Dichiarazione di Great Barrington. Nonché una delle persone blacklistate da Twitter a loro insaputa, come rivelato da Bari Weiss nella seconda uscita dei Twitter Files.
Martin Kulldorf è un biostatistico svedese, professore di medicina presso la Scuola di Medicina di Harvard dal 2003, ma in congedo dal 2023, membro del Comitato consultivo per la sicurezza dei farmaci e la gestione dei rischi della Food and Drug Administration ed ex membro del sottogruppo per la sicurezza dei vaccini del Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione presso i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC). Nonché uno degli autori della Great Barrington Declaration. E anche lui censurato sui social.
New Civil Liberties Alliance che nella causa rappresenta Bhattacharya, Kheriaty, Kulldorf, Hoft, è una associazione legale pro bono che si dedica a promuovere i diritti e le libertà civili con particolare attenzione allo Stato amministrativo. Fondata nel 2017 dal professore della Scuola di Legge della Columbia, Philip Hamburger, la NCLA, con le sue parole:
“protegge le libertà costituzionali dalle minacce sistemiche, in primo luogo dallo Stato amministrativo. In opposizione all'usurpazione dei poteri legislativi e giudiziari da parte dell'amministrazione, difende la libertà degli americani di vivere sotto le leggi statali e federali promulgate dai loro rappresentanti eletti e il loro diritto a che queste leggi siano applicate verso di loro da tribunali con giudici imparziali. La NCLA rivendica il diritto alle giurie e al giusto processo. Esige che i giudici esercitino un giudizio indipendente e imparziale, senza dipendere dalle agenzie amministrative. Preoccupato per il crescente controllo amministrativo sulla libertà di parola, difende la libertà degli americani di informarsi, parlare e pubblicare liberamente, senza essere limitati da approvazioni amministrative preventive e altre restrizioni. Più estesamente, esorta gli americani a riconoscere la minaccia amministrativa e a unirsi a un movimento per le libertà civili contro di essa.”
Chi è il giudice?
Terry Alvin Doughty è un giudice federale nominato da Trump. Dal momento che nel sistema USA i presidenti nominano i giudici federali, ogni giudice federale è un giudice nominato da Obama, da Bush, da Clinton o da Trump. Ma non è che possano nominare chiunque e la nomina deve essere poi confermata dal Congresso. Nel caso del giudice Doughty la sua nomina fu confermata 98 a 0 al senato. E un volta nominati ovviamente i giudici sono tutti uguali, hanno la stessa autorità e gli stessi poteri.
Quali sono le accuse?
L’accusa è di aver violato il Primo Emendamento esercitando una censura per procura attraverso le grandi aziende dei social media, colpendo la discussione sul covid (i vaccini, l’origine del virus e le misure non farmaceutiche come lockdown, mascherine, chiusura delle scuole, etc..), sull’integrità delle elezioni del 2020, sul laptop di Hunter Biden, e in generale l’opposizione al governo e alle agenzie federali.
Nell’ingiunzione preliminare di Doughty si legge:
"I querelanti avranno probabilmente successo nel merito, nello stabilire che il governo ha usato il suo potere per mettere a tacere l'opposizione. L'opposizione ai vaccini per il covid; l'opposizione alle mascherine e ai lockdown; il dissenso riguardo alla teoria della fuga da un laboratorio; l'opposizione alla validità delle elezioni del 2020; l'opposizione alle politiche del Presidente Biden; le dichiarazioni secondo cui la storia del laptop di Hunter Biden era vera; e l'opposizione alle politiche dei funzionari governativi al potere. Tutti sono stati soppressi. È significativo che ogni esempio o categoria di discorso soppresso sia di indirizzo conservatore. Questa soppressione mirata delle idee conservatrici è un perfetto esempio di discriminazione del punto di vista del discorso politico. I cittadini americani hanno il diritto di impegnarsi in un dibattito libero sulle questioni importanti che riguardano il Paese.”
E ancora:
Se le accuse mosse dai querelanti sono vere, il caso che stiamo esaminando comporta probabilmente il più massiccio attacco alla libertà di parola nella storia degli Stati Uniti.
E ancora:
"Una volta che un governo si impegna a mettere a tacere la voce dell'opposizione, ha solo una strada da percorrere, quella di misure sempre più repressive, fino a diventare una fonte di terrore per tutti i suoi cittadini e a creare un Paese in cui tutti vivono nella paura".
IL CONTESTO
Il covid: lo sforzo del governo di influenzare i social media ha arrecato un danno enorme alla discussione pubblica sul covid.
Alcune delle persone chiave che sono state oggetto di censura erano scienziati come Bhattacharya, Kulldorf, Gupta e altri che stavano facendo raccomandazioni che ora appaiono non solo sensate, ma forse superiori a ciò che si è effettivamente fatto. Se volete leggere qualcosa su quest'ultima decisione suggerisco di leggere il punto di vista di Bhattacharya.
Subito dopo la sentenza ha scritto un articolo uscito su The Free Press, molto potente, intitolato “The Government Censored Me and Other Scientists. We Fought Back-and Won.”, cioè “Il governo ha censurato me e altri scienziati. Abbiamo reagito e vinto", dove tra le altre cose scrive:
Da decenni sono professore di politica sanitaria ed epidemiologia delle malattie infettive presso un'università di livello internazionale. Non sono una persona politica; non sono iscritto a nessuno dei due partiti. In parte è perché voglio preservare la mia totale indipendenza come scienziato. Ho sempre ritenuto che il mio lavoro consistesse nell'informare onestamente le persone sui dati, indipendentemente dal fatto che il messaggio piacesse ai democratici o ai repubblicani.
Eppure, all'apice della pandemia, mi sono ritrovato a essere diffamato per le mie presunte opinioni politiche, e le mie opinioni sulle questioni epidemiologiche e politiche legate al Covid sono state rimosse dalla pubblica piazza su ogni sorta di social network. Non potevo credere che questo stesse accadendo nel Paese che tanto amo.
Nell'agosto del 2022, io e i miei colleghi abbiamo finalmente avuto la possibilità di reagire. I procuratori generali del Missouri e della Louisiana mi chiesero di partecipare come parte civile alla loro causa, rappresentata dalla New Civil Liberties Alliance, contro l'amministrazione Biden. L'obiettivo della causa era quello di porre fine al ruolo del governo in questa censura e di ripristinare i diritti di libertà di parola di tutti gli americani nella piazza digitale.
[..]
Il governo ha fatto ricorso, convinto di avere il potere di censurare il discorso scientifico. Ne è seguita una sospensione amministrativa che durò per gran parte dell'estate. Venerdì scorso, però, un collegio di tre giudici della Corte d'Appello degli Stati Uniti per il Quinto Circuito ha ripristinato all'unanimità una versione modificata dell'ingiunzione preliminare, intimando al governo di smettere di usare le società di social media per fare il lavoro sporco della censura [..]
Quando ho letto la decisione, sono stato sopraffatto dall'emozione. Penso che mio padre, che è morto quando avevo 20 anni, sarebbe orgoglioso del fatto che io abbia avuto un ruolo in questo processo. So che mia madre lo è.
Questo perché la vittoria non è solo per me, ma per tutti gli americani che hanno sentito la forza oppressiva del complesso industriale della censura durante la pandemia. È una rivendicazione per i genitori che hanno chiesto una parvenza di vita normale per i loro figli, ma hanno trovato i loro gruppi su Facebook soppressi. È una rivendicazione per i pazienti danneggiati dai vaccini che hanno cercato la compagnia e il consiglio di altri pazienti online, ma che si sono ritrovati a essere silenziati dai social media e dal governo, che hanno pensato che la loro esperienza personale fosse solo nella loro testa.
La decisione fornisce un po' di conforto agli scienziati che avevano profonde riserve sui lockdown, ma che si erano autocensurati per paura del danno reputazionale derivante dall'essere falsamente etichettati come disinformatori. Non avevano torto nel pensare che la scienza non funzionasse bene; semplicemente la scienza non può funzionare senza libertà di parola.
La Great Barrington Declaration (GBD) è un documento presentato a inizio ottobre 2020 ad opera di tre medici: Martin Kulldorff, Sunetra Gupta (epidemiologa all’Università di Oxford) e Jay Bhattacharya. Redatto presso l’AIER, l'American Institute of Economic Research, a Great Barrington nel Massachusetts.
La dichiarazione, che ha fatto il giro del mondo e ha sollevato grandi discussioni e polemiche, consigliava un approccio diverso alla pandemia di Covid-19: al posto dei lockdown, che secondo gli autori avrebbe effetti dannosi sulla salute fisica e mentale, veniva raccomandata una "protezione focalizzata" delle persone vulnerabili, anziani e malati, e di permettere di vivere normalmente ai giovani e a coloro che hanno un più basso rischio di morte.
La GBD è stata oggetto anche di un intervento contrario di Anthony Fauci e Francis Collins (ex direttore del National Instiute of Healt, che è parte del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti), volto a contrastarla in quanto critica dei provvedimenti promossi da loro, più che a rispondere anche criticamente nel merito.
Gli sforzi contro la GBD hanno compreso censurarla e penalizzarne il sito su Google, screditarla inserendovi firme false, dare un boost alla visibilità di un articolo spazzatura di Nafeez Ahmed (qui spiego perché è spazzatura), la rimozione dei link alla dichiarazione su Reddit nelle discussioni sul covid, e la censura dei suoi autori.
Minacce, intimidazioni e censura: questo caso è anche un esempio di come l'identificazione di casi in cui il governo limita e censura la pubblica discussione possa essere problematica. I funzionari di Biden non hanno semplicemente scritto a Twitter dicendo: "Rimuovete questo post che ci critica o regoleremo la vostra azienda fino all'oblio". Le cose non sono così semplici, e raramente lo sono. Nella sua sentenza, la corte d'appello sottolinea il contesto e le modalità di queste richieste di rimozione. In particolare, evidenzia come alcune agenzie governative che hanno presentato le richieste avevano un certo potere normativo e legale su queste entità e come questo trasformi i loro suggerimenti in minacce implicite o evidenti per le parti coinvolte, e come il loro modo di contattarle e avanzare queste richieste sia stato “implacabile”.
Si legge nella sentenza:
I funzionari hanno minacciato, sia esplicitamente che implicitamente, ritorsioni contro l'inazione. I funzionari hanno ventilato la prospettiva di riforme legali e azioni esecutive, insinuando sottilmente che era nell'interesse delle piattaforme conformarsi. Come ha detto un funzionario, "rimuovere le cattive informazioni" è "una delle cose facili e di basso livello che potete fare per far credere a persone come me", cioè ai funzionari della Casa Bianca, "che state agendo".
[..] E a differenza delle richieste di Warren, molte di quelle dei funzionari erano "formulate praticamente come ordini" [..] I funzionari hanno rivolto minacce esplicite e, come minimo, si sono appoggiati all'autorità intrinseca dell'ufficio del Presidente. Hanno formulato accuse incendiarie, come ad esempio che le piattaforme stessero "avvelenando" il pubblico e "uccidendo le persone". E hanno intimato loro che dovevano assumersi maggiori responsabilità e agire. Poi, hanno fatto seguire alle loro dichiarazioni minacce di "riforme fondamentali", come cambiamenti normativi e maggiori azioni di enforcement che avrebbero garantito che le piattaforme fossero "ritenute responsabili".
E ancora:
Raramente ci siamo trovati di fronte a una campagna coordinata di questa portata orchestrata da funzionari federali che abbia messo a rischio un aspetto fondamentale della vita americana.
Fauci e le origini del covid: nel corso della causa il procuratore Erich Schmitt è riuscito ad ottenere un mandato di comparizione per Anthony Fauci, che ha ricoperto il ruolo di consigliere medico capo del Presidente. Mentre altre richieste di comparizione sono state efficacemente bloccate dall’amministrazione Biden, Fauci nel novembre 2022 ha deposto a proposito del suo eventuale ruolo nella censura della discussione sul covid.
Nella sua deposizione Fauci ha avuto “problemi di memoria” dichiarando per ben 174 volte “non ricordo”. Tra le altre cose interrogato sulla Great Barrington Declaration ha risposto: "Ho un lavoro giornaliero molto impegnativo gestendo un istituto da sei miliardi di dollari. Non ho tempo di preoccuparmi di cose come la Great Barrington Declaration". Ma sono di pubblico dominio mail che mostrano Fauci e Francis Collins (direttore del NIH) impegnati contro la Great Barrington Declaration e altre in cui Fauci si attribuisce il merito di essersi "molto fortemente pubblicamente contro la Dichiarazione di Great Barrington". Quindi nonostante la mole di lavoro il tempo di occuparsi della GBD lo ha trovato, salvo poi non volerne parlare quando chiamato a deporre.
Non solo ma qualche mese fa nell’ambito delle audizioni della sottocommissione della Camera degli Stati Uniti sulla pandemia da coronavirus, sono stati resi noti documenti che provano che Fauci e altri alti funzionari hanno cercato di smorzare la teoria della fuga del virus dal laboratorio, coordinandosi con scienziati e giornalisti, e influenzando la stesura del “Proximal Origin” paper uscito su Nature, perché smentisse questa possibilità.
Le comunicazioni private recentemente divulgate mettono a nudo che gli autori "altamente qualificati" del paper a cui Fauci aveva fatto riferimento nell'aprile 2020 come “autorevole smentita della possibilità di una fuga dal laboratorio” - quello che è diventato noto in modo informale come “Proximal Origin" - in realtà mostravano notevoli incertezze sul fatto che il virus fosse il risultato di un evento naturale, in netto contrasto con la posizione poi da loro pubblicata. Di recente David Zweig ha pubblicato un bell’articolo che riassume tutte le prove del “depistaggio” operato da Fauci. Mentre Taibbi ha pubblicato una lista - una selezione, in realtà ce ne sono di più - di quindici passaggi significativi nelle chat e nelle mail tra gli scienziati al lavoro sul paper.
Di recente Fauci è stato insignito di una laurea honoris causa all’Università di Siena, e i media italiani hanno dato la notizia senza menzionare nessuna delle vicende opache che lo coinvolgono (e ce ne sono altre oltre quelle che ho raccontato qui) e hanno raccontato le contestazioni che ha ricevuto come opera di “500 novax” (cito Repubblica, ma è solo un esempio fra tanti tutti analoghi), senza spiegare nessuno dei validi motivi di contestazione che potevano sussistere.
I Twitter Files: quando Elon Musk ha comprato Twitter ha dato accesso ai documenti interni dell’azienda ad alcuni giornalisti indipendenti. Ne sono nati i cosiddetti Twitter Files, una sorta di inchiesta a puntate sul rapporto tra il social, la politica, gli apparati statali, relativamente a varie vicende, pubblicata, come da accordi con Musk, innanzitutto su Twitter sotto forma di thread, tra dicembre 2022 e marzo 2023.
I giornalisti coinvolti sono Matt Taibbi, Bari Weiss, Lee Fang, Michael Shellenberger, David Zweig e Alex Berenson.
Le pubblicazioni hanno suscitato enormi dibattiti su molti aspetti diversi, nonché indagini da parte del Congresso e hanno contribuito a fornire le prove della violazione del Primo Emendamento nella causa Missouri vs Biden.
Riassumere in poche righe quanto uscito dai Twitter Files sarebbe molto difficile, sia per l’estensione e la varietà delle rivelazioni, sia perché i Files fanno riferimento a una quantità di vicende che dovrebbero essere conosciute per poterli comprendere a pieno. Dallo scandalo Hunter Biden, alla Great Barrington Declaration. E sono tutte o quasi vicende poco e mal raccontate in Italia.
Ad ogni modo qui si trova un riassunto in poche righe di ciascuna puntata. In generale tra gli argomenti trattati si trovano la storia del laptop di Hunter Biden, le Blacklist segrete di Twitter, i rapporti tra Twitter e l’FBI, la rimozione di Trump da Twitter, le censure di vari aspetti della discussione sul covid, la vicenda di Hamilton ‘68 una piattaforma che doveva monitorare i troll russi sui social ma monitorava normali cittadini che non avevano a che fare con la Russia e i cui dati sono stati presi per buoni da una infinità di articoli e servizi.
La commissione sulla “Weaponization” del governo federale: da quando i Repubblicani sono diventati maggioranza alla Camera hanno dato vita a questa commissione, presieduta dal deputato repubblicano Jim Jordan, membro del cosiddetto Freedom Caucus, il cui scopo è indagare sull’uso politico delle agenzie federali, dall’FBI all’HHS, e sui loro attacchi alle libertà civili degli americani, tra cui la collusione tra le agenzie federali e varie aziende private, come quelle dei social, per sopprimere il dissenso e il punto di vista conservatore. Una sorta di commissione di inchiesta con un ampio potere di chiamare a deporre chi ritiene opportuno e tra le audizioni che ha tenuto quella più famosa e discussa è stata quella di Matt Taibbi e Michael Shellenberger.
Secondo la testimonianza di Shellenberger, "i Twitter Files, le azioni legali dei procuratori generali degli Stati e i reporter investigativi hanno rivelato una rete ampia e crescente di agenzie governative, istituzioni accademiche e organizzazioni non governative che stanno attivamente censurando i cittadini americani, spesso a loro insaputa, su una serie di questioni, tra cui le origini del covid, i vaccini covid, le mail relative agli affari di Hunter Biden, i cambiamenti climatici, le energie rinnovabili, i combustibili fossili e molte altre questioni". È possibile scaricare la testimonianza completa qui.
Taibbi a proposito della sua testimonianza scrive:
I Democratici hanno reso chiaro di non essere interessati a parlare di libertà di parola se non per quanto riguarda Chrissy Teigen, sembravano suggerire che un giornalista non dovrebbe guadagnarsi da vivere e, infine, hanno fatto l'incredibile affermazione che io e Michael rappresenteremmo una "minaccia diretta alle persone che si oppongono a noi". Di tutto ciò che è emerso ieri, questo è stato lo sviluppo più inquietante - forse non per me, ma per i giornalisti in generale, data la storia recente del nostro governo nel trattare con persone considerate "minacce".
E ancora:
I Dem erano arrabbiati perché io e Michael eravamo lì. Non volevano discutere di nulla. Era completamente opposto a quello che era il partito anche solo dieci anni fa, quando i diritti di espressione erano una questione che volevano far propria.
E ancora:
La giornata di ieri è stata memorabile per altri motivi, ma mi ha anche aperto gli occhi in modo deprimente, costringendomi a vedere da vicino il deserto intellettuale che si è esteso financo ai margini all'interno del partito che un tempo sostenevo.
Tra le persone sentite dal sottocomitato ci sono anche, tra altri, Jaff Landry e Erich Schmitt, i due procuratori della causa Missouri vs Biden, Jonathan Turley, Robert Kennedy Jr e Tulsi Gabbard.
Hunter Biden: la censura non ha riguardato solo la discussione sul covid, la Great Barrington Declaration, le misure non farmaceutiche come i lockdown, i vaccini e le origini del virus, ma anche le vicende riguardanti Hunter Biden, che infatti sono citate nell'informazione di Doughty.
La prima puntata dei Twitter Files, pubblicata da Matt Taibbi, su Twitter come da accordi con Musk, riguardava la censura dell’inchiesta su Hunter Biden pubblicata dal New York Post, che uscì tre settimane prima delle elezioni del 2020, fu bloccata su Twitter e limitata su Facebook, e bollata come un’operazione di disinformazione russa, sulla scorta di una lettera aperta, siglata da un gruppo di 51 ex alti funzionari dell'intelligence, che affermava di riconoscere “tutti i classici segni di un'operazione di disinformazione russa".
Nella lettera i funzionari scrivevano letteralmente “non sappiamo se le email siano autentiche o meno” e “non abbiamo prove di un coinvolgimento russo”, ma “la nostra esperienza ci fa sospettare fortemente che il governo russo abbia avuto un ruolo significativo”.
Nonostante l’assenza di prove e il poco lusinghiero record di menzogne diffuse dalla comunità di intelligence, tutti i media mainstream e di orientamento liberal trasformarono questa lettera nella certezza assoluta che si trattava di disinformazione russa.
Glenn Greenwald arrivò a dimettersi da The Intercept, il quotidiano che aveva co fondato per garantire libertà al giornalismo indipendente e adversarial, perché non gli veniva permesso di pubblicare liberamente sullo scandalo Hunter Biden.
Alla fine laptop e mail si rivelarono autentici, i russi non c’entravano nulla - quindi possiamo allungare il record di menzogne dell’intelligence - e l’inchiesta su Hunter Biden è tutt’ora in corso, con tanto di varie sospette interferenze da parte dell’amministrazione Biden (altre vicende mai raccontate) e di tentativi di pilotare un “atterraggio morbido” (come questo, questo e questo).
Il cambio di rotta dei Democratici
Oltre a quanto già elencato un ulteriore elemento necessario alla comprensione della causa in corso e delle accuse mosse nel loro contesto è il cambio di rotta dei Democratici e della sinistra liberal progressista sulla libertà di parola e la censura. A questo scopo mi sembra ottimo il riassunto fatto da Glenn Greenwald in una puntata del suo programma su Rumble “System Update”.
Un giornalista che insieme a Taibbi e a chiunque altro segua il loro esempio viene ormai - ridicolmente - bollato dalla sinistra (anche da molti giornali di sinistra in Italia) come di destra, nonostante abbia vinto un Pulitzer con il Guardian per il lavoro fatto con Snowden, esattamente sui temi degli abusi di potere, della violazione dei diritti costituzionali degli americani, della censura, etc..
Il riassunto di Greenwald
È ormai cosa comune sentire i membri Democratici del Congresso alzarsi e, in modo sempre più esplicito, guardare nella telecamera quando vengono intervistati o appaiono davanti al Congresso e dire che pensano che lo Stato di sicurezza degli Stati Uniti, la CIA, l'FBI, la Sicurezza Nazionale, la NSA siano attori benevoli che intendono solo il meglio, che vogliono semplicemente proteggerci e che stanno censurando per questo motivo. E non dovremmo arrabbiarci per questo, ma anzi esserne grati. È come in "1984": il Grande Fratello censura perché ti ama, il Grande Fratello ti ama e vuole proteggerti. Questo è il messaggio esatto che dice - non voglio che mi crediate sulla parola, vi mostreremo diversi esempi illustrativi in cui si dice esattamente questo.
Infine, un giudice federale, una corte distrettuale federale del distretto occidentale della Louisiana, si è pronunciato sul fatto che la Costituzione non consente al governo di fare pressioni, minacciare e costringere attori privati, come le aziende Big Tech, a censurare per loro in un modo in cui la Costituzione proibirebbe ai funzionari governativi di censurare direttamente se stessi. C'è una lunga giurisprudenza - il caso Seminole della Corte Suprema, che vi mostreremo - che ha ripetutamente affermato che il Primo Emendamento non solo impedisce al governo degli Stati Uniti di censurare direttamente, vale a dire di emanare leggi che rendano criminale l'espressione delle proprie opinioni o di punire le persone dissidenti, ma proibisce anche di ricorrere a una soluzione alternativa alla garanzia di libertà di parola del Primo Emendamento, utilizzando il proprio potere normativo o la propria autorità legale o il proprio sistema di ricompense economiche per minacciare di costringere attori privati a censurare per loro.
Questo caso è stato quindi avviato da due procuratori generali di questi due Stati e citato in giudizio per conto di epidemiologi le cui opinioni sono state censurate da Internet, epidemiologi importanti con il più alto pedigree accademico, giornalisti e attivisti le cui opinioni sul COVID, le sue opinioni sull'Ucraina, le cui opinioni su una vasta gamma di questioni, sono stati censurati, non a causa di decisioni autonome delle aziende Big Tech, ma a causa di persone ai più alti livelli di governo che hanno alzato il telefono o inviato e-mail alle Big Tech dicendo: "Queste sono le cose che non vogliamo che permettiate di essere ascoltate, e se lo fate, questo influenzerà le nostre relazioni". ' Finalmente un tribunale federale ha detto: "A) questo sta accadendo, B) c'è un'ampia giurisprudenza che lo rende incostituzionale e C) ordino che questo cessi immediatamente". Ha ingiunto ai maggiori funzionari di Biden di continuare questa campagna di censura indiretta, ma molto grave e incostituzionale, del discorso politico dei cittadini americani su Internet.
La tradizione della difesa del Primo Emendamento
Di questi tempi sembra che la difesa del Primo Emendamento e della libertà di parola sia una battaglia dei Repubblicani, che appartiene alla ideologia di destra. Una impressione che non è solo un’impressione se si pensa che i sondaggi dimostrano che i Democratici vogliono a grande maggioranza che lo Stato e le grandi aziende censurino Internet. In realtà non è mai stato così. Difendere la Costituzione e la libertà di parola è stata una storica battaglia anche della sinistra. Come ricorda Glenn Greenwald:
Storicamente, la libertà di parola è stata una delle principali cause della sinistra. È nata dalla Scuola di Berkeley a metà degli anni Sessanta. Ci sono stati giudici in gran parte di sinistra che sono stati responsabili di molte delle più importanti sentenze sul Primo Emendamento. Ma ci sono molti giudici conservatori che hanno fatto lo stesso nel corso del XX secolo. In generale, la libertà di parola è uno di quei valori che trascendono l'ideologia.
Oggi se si difende la libertà di parola o ci si oppone alla censura o si denuncia lo Stato di sicurezza degli Stati Uniti, si viene visti come di destra. Non so perché sia successo. Non so quando sia successo. Non so come sia successo. Ma è successo.
Se si pensa anche solo all’epoca di Bush, l’opposizione all’espansione dello stato di sicurezza veniva anche - o persino principalmente - da sinistra. Oggi la sinistra ha fatto una virata a 180° e chi è rimasto fedele alle idee precedenti, come Greenwald e Taibbi, è accusato di essere diventato di destra.
Oggi non solo i governi Dem e il partito Dem, ma anche l’elettorato Dem è a favore della censura e contrario al Primo Emendamento: di fatto sono contrari alle norme fondamentali della loro stessa costituzione e - come dimostrano inchieste come i Twitter Files e la causa Missouri vs Biden in corso - hanno violato e intendono continuare a violare queste norme. E sottolineo che questo non è un giudizio partigiano: è un fatto oggettivo, di cui ciascuno può fare poi quello che vuole.
(Il miglior approfondimento di mia conoscenza su questo è questa puntata di System Update di Glenn Greenwald, per chi è abbonato sul suo canale Local c’è la trascrizione)
Le premesse che non avete
Come sarà diventato chiaro leggendo fin qui, la causa è ovviamente legata a quanto emerso dai Twitter Files (e altre inchieste simili come i Facebook Files), alle vicende della Great Barrington Declaration, a quanto emerso sul conto di Fauci, alle audizioni che i Repubblicani hanno tenuto alla Commissione sulla “Weaponization” del governo federale, con le deposizioni tra gli altri di Matt Taibbi e Michael Shellenberger, i principali autori dei Twitter Files.
Non per nulla Jay Bhattacharya e Martin Kulldorff sono due dei tre autori originali della GBD.
Purtroppo, i media italiani mainstream e di sinistra non hanno seguito e raccontato nessuna di queste vicende, dando al massimo una saltuaria copertura ad alcune uscite dei Twitter Files in modo estremamente fazioso e generalmente liquidandoli con un’alzata di spalle.
Un atteggiamento probabilmente mutuato dai media statunitensi di indirizzo Dem e liberal che hanno, per ovvie ragioni di partigianeria, anch’essi sostenuto che nessuna di queste vicende avesse particolare significato, definendo in particolare i Twitter Files un “nothingburger”.
La copertura mediatica
La copertura mediatica di tutte queste vicende in Italia è stata a volte inesistente e a volte scarsa e quando c’è stata piuttosto scadente, dai Twitter Files, alla Great Barrington Declaration, alle vicende che hanno coinvolto Fauci, a quelle che coinvolgono Hunter Biden e, a questo punto, suo padre, alla causa Missouri vs Biden, a quanto emerso dalle audizioni alla Camera.
Ma solo a titolo di esempio, cercando “Twitter Files” nell’archivio de Il Post si trova unicamente questo articolo uscito il 5 dicembre 2022. Fine della copertura mediatica a una delle più importanti vicende degli ultimi anni. In compenso cercando Twitter si trovano decine di articoli tutti incentrati sulla critica a Musk, il cui acquisto di Twitter ha reso possibili i Twitter Files. Quindi il Post da questo acquisto in poi ha parlato moltissimo di Twitter e di Musk, ma sempre evitando i Twitter Files e la censura governativa.
Valigia Blu ha invece pubblicato due articoli (uno e due) liquidatori che descrivono sostanzialmente i Twitter files come una campagna contro i liberal, guidata dal diavolo Elon Musk, e fine dell’analisi. Ah no, scusate, dimenticavo ha anche accusato Taibbi di essere diventato di estrema destra come Greenwald (accuse deliranti IMHO):
[Taibbi] si è unito al piccolo club inconsapevolmente avviato da Glenn Greenwald di quelli che "fanno il giro" e si ritrovano a destra della destra.
Cercando su Linkiesta, dal loro sito o da Google, non ho trovato alcun articolo sui Twitter Files, ma - o caso strano - una marea di articoli contro Musk che lo definiscono da picchiatello a simpatizzante dei neonazi.
Fan Page (che è il quotidiano digitale più letto dai giovani e quindi ha una sua importanza) ha pubblicato un solo articolo all’inizio dei Twitter Files (che hanno avuto 19 “puntate”) quando tra la prima puntata e la seconda vi è stato un ritardo. Il solo articolo pubblicato era quindi intitolato “Dove sono i Twitter Files di Elon Musk? Il mistero sull’inchiesta che doveva ribaltare la Casa Bianca”. Ma quando la seconda puntata è effettivamente arrivata seguita da altre diciassette, Fan Page le ha ignorate.
L’Huffington Post Italia ha dedicato un solo articolo anche questo dai toni del tutto liquidatori: “notizia, presentata da più parti come uno scoop giornalistico”, “presunto scoop”, “segreto di pulcinella” e che sostanzialmente giustifica e approva il comportamento dell’amministrazione.
Per Wired i Twitter Files sono “molto rumore per nulla” - un nulla diretto alla corte suprema - e “Una manna dal cielo per i complottisti” - per complottisti forse intendono i fessi che credono all’assurda teoria per cui esiste un Primo Emendamento che protegge la loro libertà di parola. Entrambi gli articoli sono usciti dopo le prime puntate e tutto quello che è uscito in seguito è stato ignorato.
Open ha dedicato due articoli ai Twitter Files, uno intitolato “Twitter files: la nuova puntata dell’inchiesta sul social, tra la rimozione dell’account di Trump e i rapporti stretti con l’Fbi”, l’altro, taggato “complotti”, intitolato “Twitter files. Ecco ciò che non quadra nello “scoop” diffuso da Elon Musk (e cosa avrebbe rivelato sul Governo Trump)”, entrambi usciti inizialmente e tesi a smentire o liquidare l’inchiesta, che poi non è più stata seguita. Mentre ovviamente sono uscite decine di articoli su Musk e Twitter, tutti estremamente negativi su Musk, e tutti senza un accenno ai Twitter Files. Ho analizzato il primo di essi in un precedente articolo, rilevando falsità, imprecisioni ed errori:
E anche coloro che hanno trattato le prime puntate con un po’ meno disprezzo, come Corriere, Repubblica, Il Fatto e Rainews, che almeno nel titolo sottolineavano l’insabbiamento del caso Hunter Biden messo in luce dalla prima uscita dei Twitter Files, hanno poi immediatamente smesso di occuparsene e non hanno mai raccontato le altre diciotto puntate dell’inchiesta.
Il pattern è sempre lo stesso:
articoli usciti all’inizio dei Twitter Files per liquidarli,
zero copertura a tutto quello che è successo dopo,
zero copertura a ciò che è emerso dai Twitter Files
zero copertura a ciò che dai Twitter Files ha avuto origine: le audizioni del “Subcommittee on the Weaponization of the Federal Government” e la causa in corso
zero copertura di ogni altra vicenda censoria analoga riguardante altre piattaforme o altre vicende
fuoco di sbarramento contro Musk, con una quantità inverosimile di articoli che lo definiscono estremista di destra, lo accostano ai nazisti, lo accusano di avere le mani sporche di sangue, etc..
e in ogni caso approvazione esplicita del fatto che la politica si comporti in questo modo e nessuna preoccupazione sulla censura e la violazione della costituzione (e che sarà mai una costituzione?).
Ovviamente in Italia vi è una pluralità di media e ogni media è libero di avere la propria linea editoriale e di pubblicare ciò che crede, così come ogni singolo autore, ma come mai da questa libertà e pluralità di outlet mediatici e di firme, ma come mai da questa pluralità e libertà alla fine emerge una simile uniformità?
Come mai il pattern è lo stesso? c’è un’unica regia? sono convinto di no, penso non vi sia bisogno di alcuna regia e che vi siano piuttosto una mentalità comune, analoghi percorsi di carriera, un ambiente mediatico condiviso, un certo tipo di rapporti con la politica, e insomma una serie di meccanismi comuni, che danno luogo a un palese conformismo e a questi risultati a dir poco allucinanti.
Ma nonostante l’assenza di copertura mediatica da parte della “““informazione””” in Italia (con l’eccezione di outlet più indipendenti come Miglioverde, Libplus, L’Indipendnete, Atlantico Quotidiano e altri), che non può che rendere difficile seguire la vicenda a un italiano medio che non ha mai sentito parlare di nulla di quello che occorrerebbe sapere per poterla capire, pure tutto questo è accaduto e sta accadendo.
E l’amministrazione Biden si trova seriamente accusata di avere sistematicamente violato il Primo Emendamento della Costituzione americana, in uno dei più significativi casi di violazione della storia degli USA peraltro. Giusto quel tipo di notizia poco significativa che ha senso non dare..
Il Digital Service Act
Il 25 agosto 2023 è infine entrato in vigore in Europa il Digital Service Act, il nuovo regolamento europeo sui servizi digitali.
Del Digital Service Act mi sono occupato in precedenza in altri articoli, in sintesi si tratta di una legislazione europea comune in materia di contenuti illegali, pubblicità trasparente e disinformazione, che prevede vari tipi di obblighi per chi offre servizi digitali.
Le norme riguardano in vario modo, tra gli altri, servizi di hosting e di registrazione domini, e-commerce, App store, motori di ricerca, piattaforme di condivisione dei contenuti, piattaforme online che riguardano viaggi e alloggi e social media.
Ma per quanto riguarda i social network, la discussione online e la libertà di parola, secondo molti, il DSA istituzionalizza, generalizza ed estende, in qualche modo, un controllo politico dell’informazione e della discussione pubblica simile a quello emerso in USA dai Twitter Files e sotto processo in Missouri vs Biden. O anche peggio.
Qui ho fatto una rassegna stampa degli articoli critici verso il DSA pubblicati dall’informazione indipendente, mentre il mainstream lo esaltava acriticamente, ma a titolo di esempio, ecco alcuni esempi:
La censura dell'UE è in realtà una censura governativa, cioè una censura che Twitter è tenuto a eseguire pena sanzioni. Questa è la differenza tra la censura dell'UE e quella che lo stesso Elon Musk ha denunciato come "censura del governo statunitense". Quest'ultima si è tradotta in sollecitazioni e richieste, ma non è mai stata obbligatoria e non potrebbe mai esserlo, grazie al Primo Emendamento e al fatto che non è mai stato previsto un meccanismo di applicazione. Qualsiasi legge che crei un meccanismo di applicazione sarebbe ovviamente incostituzionale. Pertanto, Twitter potrebbe sempre dire semplicemente di no.
Ma finché vorrà rimanere sul mercato dell'UE, Twitter non potrà dire di no alle richieste della Commissione europea. Il meccanismo di applicazione che rende obbligatorio il Codice di condotta è il Digital Services Act (DSA) dell'UE. Il DSA dà alla Commissione europea il potere di imporre multe fino al 6% del fatturato globale alle piattaforme che ritiene violino il Codice: notate bene, fatturato globale, non solo fatturato sul mercato UE!
La censura governativa della libera espressione online nelle democrazie occidentali apparentemente liberali è stata finora in gran parte occulta, come rivelato dai Twitter Files. Ma grazie al Digital Services Act dell'UE, sta per diventare palese.
Il mese prossimo si verificherà un evento poco conosciuto che potrebbe avere enormi ripercussioni sulla natura del "discorso pubblico" su Internet in tutto il pianeta. Il 25 agosto 2023 è la data entro la quale le grandi piattaforme di social media dovranno iniziare a conformarsi completamente al Digital Services Act dell'Unione Europea. Il DSA, tra le tante cose, obbliga tutte le "Very Large Online Platforms" (Piattaforme online di grandi dimensioni) a rimuovere rapidamente dalle loro piattaforme i contenuti illegali, i discorsi di odio e la cosiddetta disinformazione. In caso contrario, rischiano multe fino al 6% del loro fatturato globale annuo.
Le piattaforme più piccole dovranno iniziare ad affrontare i contenuti illegali, i discorsi d'odio e la disinformazione a partire dal 2024, sempre che la legislazione sia efficace.
Il Digital Service Act "dà troppo potere alle agenzie governative per segnalare e rimuovere contenuti potenzialmente illegali e per scoprire dati su autori anonimi", ha avvertito la Electronic Frontier Foundation (EFF) la scorsa estate, mentre la legislazione prendeva forma definitiva. "Il DSA obbliga le piattaforme a valutare e mitigare i rischi sistemici, ma c'è molta ambiguità su come questo si tradurrà in pratica. Molto dipenderà da come le piattaforme dei social media interpreteranno i loro obblighi ai sensi del DSA e da come le autorità dell'Unione Europea applicheranno il regolamento".
Giornalisti come Michael Shellenberger e Matt Taibbi hanno messo in evidenza la collaborazione tra agenzie governative e aziende tecnologiche per sopprimere voci e messaggi sfavorevoli alla narrazione ufficiale, che sarebbe la prova dell’esistenza di quello che hanno chiamato un "complesso industriale di censura" una forma di controllo politico privatizzato di ciò che si può dire che aggira le protezioni del Primo Emendamento. Questi accordi molto reali si sono svolti in gran parte dietro le quinte, ritirandosi (ma non scomparendo) quando sono stati scoperti. Il Digital Services Act dell'Unione Europea formalizza questo controllo del discorso pubblico, mettendo entità nominalmente private nella posizione poco invidiabile di controllare i contenuti online per evitare multe salate.
L’Indipendente
Mentre da parte europea e sul mainstream si sottolineano i lati positivi della norma (che prevede maggior tutela dei dati personali e limiti alla profilazione e alla riservatezza delle chat), ben poco si parla dei rischi connessi alla limitazione del diritto alla libera espressione previsto dai punti che prevedono il controllo della “disinformazione” e in particolare di quanto previsto al punto 91 della legge, che prevede meccanismi per ridurre i confini della libertà di parola attuabili “in presenza di circostanze eccezionali che comportino una minaccia grave per la sicurezza pubblica o per la salute”.
Le grandi piattaforme online saranno soggette a requisiti sulla valutazione indipendente e annuale dei rischi sistemici di disinformazione, contenuti ingannevoli, violazione dei diritti fondamentali dei cittadini e violenza di genere e minorile. Le violazioni del regolamento comporteranno multe fino al sei per cento del fatturato globale e saranno sorvegliate dalle autorità nazionali (le piattaforme più piccole) e dalla Commissione Ue che ha potere esclusivo su quelle più grandi.
Il regolamento pone particolare attenzione al fenomeno della “disinformazione” restando però sul vago, non definendo nel dettaglio ciò che può essere considerato come tale. Di conseguenza, anche eventuali opinioni o studi difformi dalla linea “istituzionale” potrebbero venire etichettati come disinformazione. In particolare, al punto 84 del DSA si legge che «Nel valutare i rischi sistemici individuati nel presente regolamento, tali fornitori dovrebbero concentrarsi anche sulle informazioni che non sono illegali ma contribuiscono ai rischi sistemici individuati nel presente regolamento. Tali fornitori dovrebbero pertanto prestare particolare attenzione al modo in cui i loro servizi sono utilizzati per diffondere o amplificare contenuti fuorvianti o ingannevoli, compresa la disinformazione. Qualora l’amplificazione algoritmica delle informazioni contribuisca ai rischi sistemici, tali fornitori dovrebbero tenerne debitamente conto nelle loro valutazioni del rischio».
Il testo risulta ancora più esplicito per quanto riguarda eventuali situazioni di crisi, quali una minaccia per la sicurezza o la salute pubblica, calamità naturali o atti di terrorismo: in questi casi, al punto 91 si legge che «La Commissione dovrebbe poter chiedere ai prestatori di piattaforme online di dimensioni molto grandi e ai prestatori di motori di ricerca online di dimensioni molto grandi, su raccomandazione del comitato europeo per i servizi digitali («comitato»), di avviare con urgenza una risposta alle crisi. Le misure che tali prestatori possono individuare e considerare di applicare possono includere, ad esempio, l’adeguamento dei processi di moderazione dei contenuti e l’aumento delle risorse destinate alla moderazione dei contenuti […]». Tutte le eventuali future emergenze potrebbero, dunque, fornire il pretesto per limitare la libertà d’informazione censurando opinioni, dati e studi non allineati.
La facoltà di vigilare sulla correttezza delle informazioni e dei contenuti, stabilendo, dunque, ciò che è vero e ciò che è falso è stata attribuita in primo luogo ad un organo politico: la Commissione Europea e, nello specifico, al Comitato europeo per i servizi digitali che vigilerà strettamente sulle società e sui contenuti. Un’architettura di controllo che ha portato diversi rappresentanti politici e dell’informazione a parlare di una minaccia per la democrazia.
Il tutto senza tralasciare che, grazie ai cosiddetti Twitter Files, è emerso che dietro alle grandi piattaforme vi sia la pressione dei governi che dettano ai colossi del digitale la linea politica e ideologica da seguire.
Una grossa fetta del DSA riguarda poi quelli che il legislatore chiama rischi sistemici.
[..]
I rischi devono essere mitigati dalle piattaforme con ogni mezzo possibile. Ad esempio dovrebbero potenziare le attività di moderazione dei contenuti e modificare gli algoritmi di raccomandazione per scoraggiare la diffusione di contenuti da cui potrebbero derivare i rischi di cui sopra.Tra le possibili misure correttive il Digital Services Act suggerisce anche la soppressione delle capacità di monetizzazione degli account “pericolosi” e il miglioramento della visibilità delle fonti d’informazione autorevoli (cioè quelle di stato).
Ricapitolando, da una parte abbiamo i nuovi cani da guardia: da una parte il coordinatore dei servizi digitali (di designazione politica), dall’altra invece i segnalatori attendibili che potranno essere organizzazioni portatrici di interessi collettivi — se non proprio organi di polizia come Europol.
Allo stesso tempo, le piattaforme online saranno obbligate a creare misure automatizzate e non per contrastare la diffusione dei contenuti illegali e per “migliorare la visibilità delle fonti di informazione autorevoli”.
Sembra la trasformazione in legge di quello che abbiamo subito negli ultimi due anni: filtri e sistemi automatizzati per la censura di determinati contenuti, shadowban, pagine, canali e podcast chiusi e proliferazione di sedicenti fact-checker.
Non bisogna neanche lasciarsi ingannare dalla presenza di motivazioni virtuose, come la tutela dei diritti dei minori. Dietro alla tutela dei minori si nascondono spesso attività di sorveglianza e schedatura degli utenti. Proprio a questo riguardo il Digital Services Act imporrà alle piattaforme online di introdurre meccanismi di verifica dell’età, che ben si prestano a diventare meccanismi di identificazione delle persone, che quindi non avranno più la possibilità di essere anonime o pseudo-anonime.
L’informazione mainstream è pericolosa per la democrazia?
Quello che ho raccontato in questo articolo è grave e importante, ma anche totalmente assente dai nostri media mainstream e dalla nostra discussione pubblica.
Come si possa avere un racconto onesto di quanto accade oggi, su Trump e Biden, il Digital Service Act europeo, le questioni che riguardano la lotta alla disinformazione, il covid, e in generale tutte le notizie odierne, o sullo stato delle nostre pseudo democrazie, senza avere alcuna informazioni su tutto ciò è presto detto: non si può e non ce l’abbiamo.
E quindi dobbiamo oggettivamente riconoscere che siamo sistematicamente disinformati dall’informazione mainstream.
Quando sentiamo parlare di lotta alla disinformazione dovremmo pensare a tutto questo, e renderci conto che la lotta alla disinformazione attualmente si sta concretizzando in una svolta illiberale e anti democratica dei nostri sistemi politici, con l’indecente complicità dei nostri media e di tutti i nostri sedicenti antifascisti del menga.
Nota
Una delle newsletter che seguo con maggiore piacere - tanto che sono abbonato a pagamento - è Tangle, di Isaac Saul.
Si tratta di una newsletter americana, nata nel 2019, per dirla con Saul stesso da una semplice e condivisibile considerazione:
”I notiziari fanno schifo. Permettetemi di dare una mano.”
I suoi obiettivi erano esporre i lettori a un’ampia gamma di opinioni politiche, perché non restassero chiusi nella loro bolla mediatica e diventare una fonte di informazioni riconosciuta come affidabile da lettori di tutto lo spettro politico.
E c’è riuscito: Tangle è letta da oltre 55.000 persone, in più di 55 Paesi, in tutto il mondo. Il 45% si identifica nei sondaggi come liberal, il 30% come conservatore e il restante 25% come indipendente o in altro modo.
Come ha fatto? Tangle è indipendente e apartitica. Si occupa di una notizia in ogni numero e riassume le migliori argomentazioni di destra e di sinistra sulla notizia del giorno, a cui aggiunge una sezione col parere dell’autore. Dà grande spazio ai lettori, pubblica uno spazio di Q&A, è molto attenta a ogni parola e si corregge sempre quando commettere un errore. Tutto questo in modo sufficientemente sintetico da restare agile da leggere.
Ecco perché in questo articolo dedicato alle accuse rivolte all’amministrazione Biden di aver violato il Primo Emendamento, ho preso come base di partenza il numero di Tangle del 12 settembre, intitolato “La violazione del Primo Emendamento da parte dell'amministrazione Biden”.
Salve sig. Agriesti ho piacevolemnte letto i lsuo articolo e ho clicckato un restack con una breve nota. I libertari in difesa giustamente del primo emndamento e tutti cooro censurati dalle piattaforme ,lavoro ben fatto chapeau!