DEMOCRAZIA VS PROPRIETÀ PRIVATA
I media italiani vivono in una realtà alternativa a partire dalla quale scrivono articoli deliranti. Nella realtà però ciò che diffondono è un'ideologia a cavallo tra fascismo e comunismo.
“Delegare ad aziende private la decisione in merito al diritto di parola è un esercizio democraticamente pericoloso..”
Su Appunti, la newsletter di Stefano Feltri, è uscito un articolo sullo shadow ban e la censura delle voci pro palestina, a firma di Filippo Lubrano, intitolato “Raccontare la guerra in P4l3st1n4”.
Si tratta di un articolo per molti versi simile a quelli già usciti su Il Post, il Fatto Quotidiano, Facta, Fanpage e vari altri media, e che ho già commentato in un precedente articolo intitolato “Shadow ban: l’informazione mainstream non può fare a meno di essere ridicola”.
Nell’articolo spiegavo come la stampa mainstream italiana si sia accorta della questione shadowban in ritardo, in modo selettivo e ipocrita, l'abbia decontestualizzata omettendo il contesto rilevante per poterla capire e abbia mancato di notare come il problema sia il frutto delle politiche che essa stessa ha sostenuto e continua a sostenere. Tutte osservazioni che valgono anche per l'articolo di Lubrano e Feltri.
Ma ciò su cui mi voglio soffermare oggi è un’affermazione particolare di Lubrano. Si tratta di qualcosa che è allo stesso tempo estremamente comune ed estremamente sbagliato e pericoloso.
L’affermazione è questa:
D’altronde, questo è il rischio principale dell’informazione ai tempi dei social: delegare ad aziende private la decisione in merito al diritto di parola è un esercizio democraticamente pericoloso, non solo quando a farne le spese è il (ora ex) presidente degli Stati Uniti.
Cosa non va in questa frase e nell’intero articolo di Lubrano? Vediamolo..
Un’affermazione totalmente distaccata dalla realtà.
Si tratta, innanzitutto, di un'affermazione che può essere fatta solo a patto di una completa e totale ignoranza della realtà (o in malafede).
La questione degli shadowban e della censura sui social non è nuova e non è certamente sorta con il recente riaccendersi della questione israelopalestinese.
Nonostante i media nostrani abbiano scoperto questa pratica e la sua problematicità solo di recente, quando ha investito le voci pro Palestina, in realtà di shadowban si è parlato moltissimo negli ultimi anni.
Se ne è parlato soprattutto per tutto quello che ha avuto a che fare con il modo in cui la politica, i social e i motori di ricerca, sono intervenuti a moderare o a censurare le discussioni sulle elezioni USA 2020, la gestione della pandemia, le origini del covid, i vaccini, i green pass, i lockdown, la Great Barrington Declaration, gli affari dei Biden in Ucraina e il caso Hunter Biden, i Twitter Files, i Facebook Files, la guerra in Ucraina, il cambiamento climatico, la lotta alla disinformazione, le malefatte dell'FBI, gli eventi del 6 gennaio, le questioni relative ai transgender e varie altre discussioni politicamente cariche.
Questi sono i precedenti da citare quando si vuole discutere di questa pratica, specialmente a proposito di una questione anch'essa politicamente carica come quella israelopalestinese.
Non voglio elencare qui tutte le inchieste, le vicende, i processi, etc.. Basti dire che in USA, forse commettendo una delle più grandi violazione del Primo Emendamento della Costituzione di sempre, si è creato un sistema di censura per procura attraverso cui l’amministrazione e le istituzioni del governo federale, con la collaborazione di molte università, hanno controllato, moderato e censurato la discussione pubblica attraverso i social, e che il criterio non è stato nemmeno quello di contrastare le informazioni false, ma piuttosto quello di contrastare il dissenso.
Un sistema efficacemente ribattezzato da Michael Shellenberger “Censorship industrial complex”, rievocando la famosa espressione di Eisenhower che metteva in guardia sul ruolo assunto dal “complesso militare industriale”.
La questione è oggetto della causa Missouri vs Biden in cui per ora due giudizi hanno dato ragione all’accusa e su cui dovrà ora pronunciarsi la Corte Suprema, ma ad ogni modo le inchieste hanno dettagliatamente documentato i rapporti malati tra politica e social e come i social siamo stati condizionati da pressioni formali e informali, sostenute da minacce a volte esplicite a volte velate e da campagne politiche e mediatiche, affinché moderassero e censurassero la discussione pubblica online secondo le linee richieste, e hanno dimostrato come la moderazione sia cambiata in senso restrittivo a seguito delle richieste della politica e dalle istituzioni.
Censura, shadowbanning, blacklisting, demonetizzazioni, deplatforming, etc.. sono stati usati in modo sempre più esteso a seguito delle richieste, delle pressioni e delle minacce ricevute.
In Europa è andata peggio, non essendoci una protezione della libertà di espressione paragonabile al Primo emendamento: è stato approvato ed è entrato in vigore il Digital Service Act una norma che istituzionalizza e generalizza questo tipo di controllo politico della discussione pubblica.
Dunque è vero l’esatto contrario di quanto sostiene Lubrano: negli ultimi anni non abbiamo delegato la nostra libertà di espressioni alle aziende private, abbiamo invece assoggettato sempre più le grandi aziende private dei social, dei motori di ricerca, dei pagamenti elettronici e del settore tech in generale alle istituzioni politiche, fino al punto in cui le istituzioni politiche hanno potuto in larga misura disporre liberamente delle aziende private, sostituendo i normali obiettivi di un’azienda sul mercato - fare profitto, in un contesto di libera competizione, accontentando i propri clienti - con obiettivi politici.
Quelli che abbiamo visto sono esempi di una politica dirigista (e in Italia ricordiamoci che il dirigismo era l'approccio del fascismo) che riduce l’autonomia dei privati e calpesta i diritti di proprietà, entrando di fatto nella gestione di aziende e trattandole come mere esecutrici dei piani, degli obiettivi e delle direttive decisi da politici e burocrati.
La mancanza di democrazia che Lubrano non vede
Ma mentre Lubrano parla di un problema che non esiste se non nelle sue fantasie, ignora quelli che esistono realmente.
La mancanza di democrazia non sta nell’aver delegato la nostra libertà di espressione alle aziende private - cosa che non abbiamo fatto. La mancanza di democrazia sta altrove. Davanti al naso di Lubrano, che però la ignora bellamente, direi.
L’approvazione del DSA
Come abbiamo detto, mentre in USA esplodevano i Twitter Files, seguiti da una serie di inchieste giornalistiche e di processi che hanno coinvolto tutte le grandi aziende social, l’amministrazione Biden e varie istituzioni, in Europa si è discusso, approvato ed è entrato in vigore, il Digital Service Act, che rende istituzionale e generale - mutatis mutandis - i comportamenti rivelati dai Twitter Files e dalle altre inchieste.
Negli USA è un caso che andrà alla Corte suprema, qui è tranquillamente una norma europea, celebrata da molti come un grande progresso tra l'altro.
Ecco, una prima mancanza di democrazia sta nel fatto che una norma come il DSA possa essere discussa e approvata ed entrare in vigore con così poco dibattito pubblico, senza che nessuno nel mainstream ne abbia messo in luce gli aspetti critici.
Il DSA è la più estesa regolamentazione della rete in occidente, regolamenta fondamentalmente la discussione pubblica online e quindi va a toccare i fondamenti dei nostri sistemi democratici. Che si possa approvare una norma simile con così poco dibattito e così poco senso critico, rivela una notevole assenza di democrazia reale.
Ci sarebbe da aprire una riflessione generale sul fatto che l'Europa in molti casi serva a questo: a fare passare norme illiberali e antidemocratiche che altrimenti farebbero almeno ben più fatica a passare.
La centralizzazione politica a livello europeo è servita a creare un livello politico che da un lato ha maggiori poteri - regola tutta Europa - dall'altro al di là dei formalismi è sostanzialmente meno democratico, meno trasparente, ancora meno controllato dalla discussione pubblica delle istituzioni politiche nazionali, e quindi è di fatto un "mostro" politico burocratico che serve ad approvare provvedimenti inaccettabili che passerebbero molto più difficilmente se discussi a livello nazionale e a impedire la differenziazione delle scelte tra i vari paesi, che permetterebbe l'esistenza di un confronto e di una concorrenza fra scelte diverse.
Era un esito prevedibile e previsto: i liberali (non i fake di +Europa), i libertari e gli anarchici hanno sviscerato ampiamente i problemi della centralizzazione politica. Ma è una lezione da sempre inascoltata.
Tutto questo è ampiamente collegato anche alle vicende israelopalestinesi. Per esempio varie organizzazioni per i diritti civili hanno lanciato un appello in cui denunciano che Breton sta abusando del DSA proprio a partire da queste vicende.
Ma tutto questo sfugge a Lubrano e Feltri.
Il DSA in sé e per sé
A parte il modo in cui è stato discusso e approvato, il Digital Service Act è a prescindere, in sé e per sé, una norma antidemocratica che mina il primo fondamento di una democrazia: la libertà della discussione pubblica.
Il Digital Service Act stabilisce un controllo politico della discussione pubblica dando alla Commissione Europea un potere discrezionale e arbitrario di definire cosa sia disinformazione e cosa sia da censurare.
Poche norme potrebbero essere più illiberali e antidemocratiche.
Il ruolo della stampa e dei media
Quando ha trattato del Digital Service Act, la stampa lo ha fatto letteralmente pubblicando in modo acritico i comunicati stampa della Commissione Europea e gli interventi dei suoi propositori, senza alcun esame critico suo proprio.
Come ho scritto in precedenza a proposito del modo in cui la stampa si è occupata di questa norma:
La stampa mainstream informa in qualche modo sul contenuto delle norma, ma fa un discorso del tutto acritico:
tende a riportare in modo acritico la sintesi fatta del provvedimento dalla Commissione Europea stessa
tende a riportare in modo acritico le dichiarazioni delle autorità europee, in particolare del commissario Breton e di Ursula von der Leyen.
illustra le intenzioni dichiarate dai promotori del DSA come coincidenti con gli obbiettivi effettivi del DSA e con i suoi effetti: se dicono che è stato fatto per tutelare gli utenti, allora l’obiettivo è effettivamente quello, e l’effetto anche.
di conseguenza elogia il DSA mettendo in luce solo gli aspetti positivi, come gli obblighi di maggiore trasparenza per le piattaforme, la tutela dei minori dalle pubblicità mirate, la possibilità per gli utenti di fare ricorso contro i ban, e ignora completamente qualsiasi possibile problema, dal momento che evidentemente queste fonti lo propongono in chiave positiva.
di fatto si tratta di un atteggiamento propagandistico: non tanto perché positivo verso il provvedimento, ma proprio perché stupidamente acritico, ripetitivo, piatto, privo di contestualizzazione, senza sfumature e chiaroscuri.
In una democrazia si suppone che la stampa difenda la libertà di espressione, l’indipendenza dei media e la libertà della discussione pubblica, e si suppone che eserciti un ruolo di sorveglianza sul potere politico, mantenendo uno sguardo critico su quanto fa: noi abbiamo una stampa che combatte contro la libertà di espressione e che pubblica letteralmente i materiali forniti dagli uffici di pubbliche relazioni delle istituzioni politiche senza alcun vaglio critico. Un’ulteriore prova della democrazia che manca.
Che i vari Lubrano di questo mondo non riescano a notare questa assenza di democrazia è solo un’ulteriore conferma.
Sono giornalisti, ma non danno le notizie, non difendono la libertà di espressione, non esercitano un ruolo di controllo sul potere politico e anzi invocano costantemente e ideologicamente la sua estensione, compreso un più esteso potere di controllo della discussione pubblica. Che giornalisti sono?
Democrazia vs proprietà privata
Dall’affermazione di Lubrano si evince un altro problema: Lubrano scrivendo che “delegare ad aziende private la decisione in merito al diritto di parola è un esercizio democraticamente pericoloso” sta di fatto evidenziando un conflitto tra proprietà privata e democrazia.
Questo conflitto è reale ed esiste. Ma bisogna chiedersi: a quale idea di democrazia si rifanno queste persone? Sicuramente non a quella liberaldemocratica.
L’idea di democrazia liberale secondo la Treccani è questa:
Regime politico basato sulla combinazione del principio liberale dei diritti individuali con il principio democratico della sovranità popolare. Spesso viene usata, come sinonimo, l'espressione 'democrazia liberale'. In entrambi i casi si intende sottolineare che il riconoscimento della sovranità del popolo va di pari passo con l'intangibilità di una serie di libertà individuali (pensiero, religione, stampa, impresa economica).
Si tratta di un’idea di democrazia che non è basata solo e semplicemente sull’idea dell’imposizione della volontà della maggioranza, ma anche sul rispetto dei diritti individuali.
In una democrazia liberale il potere politico ha dei limiti. Lo Stato e il governo, per quanto quest'ultimo sia eletto democraticamente, non possono fare qualsiasi cosa (anche se i limiti teoricamente in piedi vengono costantemente superati e lo Stato calpesta abitualmente la legalità e lo stato di diritto).
Vi sono tutta una serie di meccanismi che dovrebbero limitare l'azione politica e assicurarsi che avvenga nel rispetto dei diritti individuali.
Questi limiti però creano una tensione interna al sistema. Vengono spesso additati come intrinsecamente anti democratici. Contro di loro si dice che limitando lo Stato limitano la democrazia. Il che, come abbiamo detto, in un certo senso è vero.
I diritti di proprietà privata sono uno spazio di libertà e di autodeterminazione individuali, ma anche sociali: fanno sì che una parte della vita della società si basi su rapporti volontari e non coercitivi, fanno sì che esista un libero gioco tra gli interessi, le priorità, le scelte, le preferenze, le situazioni e i bisogni di ciascuno, consentono la cooperazione e la concorrenza e il libero mercato.
Questo spazio di libertà è uno spazio lasciato libero dalla “sovranità popolare” e dallo Stato, in cui le persone e le loro associazioni, siano esse economiche, sportive, religiose, culturali, affettive o altro, scelgono da sole il proprio corso d’azione.
Significa che non tutte le decisioni sono di rilevanza collettiva e devono essere prese attraverso meccanismi democratici, che non su tutto si vota, si legifera e si decide collettivamente.
D’altronde se uno Stato totalitario è uno Stato che esercita un controllo pressoché totale sulla società e sulle persone, votare su tutto, legiferare su tutto, regolare tutto, decidere tutto collettivamente tramite procedure democratiche, senza porre dei limiti, vorrebbe dire avere uno Stato totalitario.
L’invasione della società da parte della “democrazia” e dello Stato, la pretesa di estendere la democrazia a tutto, di considerare tutto oggetto di decisione collettiva, di politicizzare tutto ed estendere ovunque il controllo, il potere e la coercizione dello Stato (le norme statali sono coercitive, sono obblighi, non gentili richieste a cui uno aderisce se gli va), sono la via democratica al totalitarismo.
Scrive ancora la Treccani, del totalitarismo:
la maggior parte delle definizioni del totalitarismo si fonda sul fatto che le dittature contemporanee sono orientate verso il modello d'una completa centralizzazione e di un'uniforme regolamentazione di tutti i settori della vita politica, sociale e intellettuale. Questa tendenza oltrepassa di gran lunga le forme precedenti di dominio assolutistico o autocratico e le loro possibilità in materia di controllo politico, sociale e tecnologico dei sudditi.
Qualunque totalitarismo, di destra o di sinistra, basandosi sul controllo totale di ogni ambito della società si basa sulla negazione della proprietà privata, in quanto essa è per definizione autonomia decisionale. Ogni totalitarismo si basa sull’esproprio e la collettivizzazione. Ogni tassa e regolamentazione statale sono una riduzione della proprietà privata, quindi dell’autonomia decisionale. E quindi tasse e regolamentazione oltre una certa soglia configurano una società totalitaria, che vi si sia arrivati attraverso procedure democratiche o meno.
Procedure che sono comunque intrinsecamente falsate in favore di questo esito, se si pensa che a favore della continua progressiva estensione del dominio statale, non vi sono solo le posizioni ideologiche di chi ritiene che sarebbe un bene, ma anche l’interesse puro e semplice dell'apparato statale stesso e delle persone che lo compongono.
All’estensione del dominio statale da un lato corrisponde la crescita del potere e delle risorse dell’apparato, quindi anche dei singoli funzionari e dirigenti, e dall’altro lo sviluppo e la diffusione di una mentalità statalista, perché la burocrazia e la politica tendono inesorabilmente a produrre un pensiero favorevole a più burocrazia e politica e sempre sfavorevole alla loro riduzione o estinzione, e le persone tendono a dimenticare come si potrebbero risolvere le cose senza Stato (se lo Stato producesse il pane al posto dei panettieri, avremmo senza dubbio una maggioranza di persone sfavorevoli a togliergli questo compito, pronte a sostenere che senza Stato non avremmo il pane, o che solo i ricchi riuscirebbero a procurarselo, e pronte a dipingere come un mostro e un pazzo chi proponesse di privatizzare il pane affidandolo al mercato).
E quando l'apparato statale e la politica superano una certa soglia questi interessi e questa mentalità diventano preponderanti.
Feltri e Lubrano non si rendono conto di tutto questo: non si sono accorti che abbiamo già costruito un sistema di dirigismo fascistoide in Europa con il Digital Service Act nel settore dei social, non si sono accorti della deriva del progetto europeo passato dalla creazione di un libero mercato comune alla creazione di un sistema sempre più dirigista, illiberale e antidemocratico, non si sono accorti che siamo gradualmente passati dal garantire la libera circolazione di beni, capitali e persone, alla centralizzazione e alla pianificazione politica (si pensi a quel che si sta proponendo per affrontare il cambiamento climatico), e lamentano che esista ancora troppa autonomia per queste aziende, lasciando intendere che dovremmo passare a un sistema ancora più collettivista.
Il che a me sembra un po’ come suggerire che il fascismo possa essere migliorato passando direttamente al comunismo nudo e crudo.
Se al fascismo metti un arcobaleno, diventa antifascismo.
D’altronde gran parte di queste persone ha perso la trebisonda già da tempo. In molti oggi confondono la proprietà privata con il fascismo, nonostante in realtà si tratti di un ossimoro, come spiegato sopra o ancora meglio qui. Come mai?
Una spiegazione può essere questa: si è largamente diffusa un’idea di fascismo e di antifascismo del tutto balenga, fuori dalla realtà e dalla storia, proposta da intellettuali liberal e progressisti, che ci ha fatto smarrire completamente la strada.
Una perfetta rappresentante di tutto questo è stata Michela Murgia, autrice di “Istruzioni per diventare fascisti”, un libro che cattura perfettamente il problema.
Leggendolo si constata che i sedicenti antifascisti progressisti non riconoscono il fascismo nella costruzione di uno Stato sempre più invadente, interessato a irreggimentare la società e ad esercitare un controllo totale su di essa, calpestando le libertà individuali e la proprietà privata, o in un’economia corporativa e dirigista.
No, i progressisti ignorano il fascismo come sistema politico, istituzionale, legale, economico, etc.. e lo riducono a un mix di razzismo, omofobia, maschilismo e sessismo (che non sono nemmeno tratti unici e distintivi del fascismo).
Il controllo totale da parte dello Stato è ok, anzi non solo è ok, ma diventa persino magicamente antifascismo, purché sia uno Stato progressista.
Una volto ridotto il fascismo a razzismo, omofobia e sessismo, la libertà di espressione stessa diventa fascista e con essa la proprietà privata. La proprietà privata non è più intrinsecamente antifascista in quanto forma di decentramento e limitazione del potere statale, perché il fascismo non è più uno Stato, né un sistema politico, è un’opinione sui gay, i neri e le donne.
Anzi, al contrario, proprio perché spazio di libertà che consente di esprimere idee e tenere comportamenti non progressisti, e limitazione all’uso dello Stato per imporre le idee progressiste, ecco che in un perfetto ribaltamento della realtà diventa intrinsecamente fascista!
E con questa interpretazione orwelliana della realtà, ormai sostanzialmente diffusa, la frittata è fatta.
Bravo un articolo vero e illuminante
Prego Dr.Agriesti sempre un piacere leggerla qui e sul miglio verde,giornalisti come.lei sono rarissimi ! Ricambio gli auguri libertari di buon natale 2023 a le e famiglia, w la libertad carajo !